REPORTAGE
DA TRAPANI A CALAIS
Storie di immigrazione
che parlano italiano
Canta e ride
Mohamed, il suo tormentone preferito è Voglio andare in Inghilterra,
il ritornello d'un pezzo rap di Fabri Fibra trasmesso dalla radio mentre
lavorava, in nero, come aiuto cuoco in un ristorante di Cassibile, provincia
di Agrigento. Ora per lui l'Inghilterra è davvero a un passo. In
mezzo ci sono i 34 km della Manica mentre di giorno le scogliere di Dover
si intuiscono nitide all'orizzonte. Mohamed è sbarcato a Porto
Empedocle nel 2007, insieme ad altri duecento Somali suoi connazionali.
In un marcato accento siculo racconta come in Italia ha imparato a trinciare
le chele agli astici e quando ha deciso di ripartire verso la vagheggiata
Inghilterra: "lì c'è più lavoro", spiega.
A Trapani ci sono anche storie di immigrati che ce l'hanno fatta. Hanno
un lavoro e sono integrati con la società locale.
Il viaggio
di Mohamed invece ora fa tappa al porto di Calais, la città dove
si imbocca l'Eurotunnel che collega la continentale Francia al Regno Unito.
Mohamed passa le giornate aspettando l'occasione buona per nascondersi
in qualche tir e attraversare quel corridoio di mare. Intorno a lui ci
sono centinaia di altri migranti, anche loro con lo sguardo rivolto alla
Gran Bretagna e con un pezzo di Italia lasciato alle spalle. Nella babele
linguistica di Calais l'italiano è la lingua più praticata:
attraverso l'idioma di Dante e Petrarca circolano informazioni disparate
fra i diversi gruppi etnici di migranti.
In Italiano
i sudanesi parlano con gli afgani e gli eritrei con i curdi; si scherza,
si litiga, si commentano i nuovi arrivati e si fa la conta di chi è
riuscito a partire per Dover, o di chi si è spezzato una gamba
tentando di aggrapparsi ad un tir nel terminal portuale, o ad un treno
che sfreccia nell'Eurotunnel. In Italiano ci si danno informazioni sulla
mappa di accampamenti e rifugi dove dormire: tendopoli picchettate sotto
i ponti dei canali o case abbandonate in cui intrufolarsi col buio.
Un arcipelago
di nascondigli che a Calais è in perenne evoluzione. E i migranti
che lo abitano sono tutti passati per l'Italia prima di arrivare in questo
lembo di terra. Somali ed Eritrei sono entrati da Lampedusa o Porto Empedocle
, mentre gli afgani, i più numerosi a Calais, hanno sentito parlare
per la prima volta italiano nei porti dell'Adriatico, dove sono sbarcati
nascosti nei tir. Rosarno, Roma, Crotone o Ancona, Bari, Brindisi, Venezia
qui sono città note più di Marsiglia, Lione, Nantes o Parigi.
Mohamed conosce l'Italia a mena dito. E' un rifugiato del Ciad, di 19
anni, sbarcato nel porto di Ancona a bordo di un tir che arrivava dalla
Grecia. A Calais vive in uno squat che tutti chiamano l'African House,
un gigantesco mobilificio abbandonato e divenuto il disperato rifugio
di alcune decine d'africani, dove quasi ogni mattina fa irruzione la Compagnie
Républicaine de Sécurité per controllare i documenti
e portare in caserma i sans papier che non riescono a nascondersi in tempo.
Per due anni
ha cercato di procurarsi da vivere in Italia, senza riuscirvi. Per otto
mesi è rimasto a dormire nei capanni tra le grotte che costellano
la spiaggia del Passetto di Ancona. Poi ha deciso di puntare verso la
Francia. "In Italia si sta bene solo se hai soldi e lavoro, altrimenti
sei abbandonato a te stesso", ricorda. A Calais, Mohamed passa le
giornate aspettando il turno della doccia, che si consuma una volta al
giorno al Centre Hospitalier. Bisogna prendere un numero distribuito dagli
infermieri e mettersi in fila per un paio d'ore. Poi ci sono altri due
momenti intorno a cui ruota la vita: la colazione e la cena in Rou de
Moscou, che l'associazione Salam distribuisce tutti i giorni sotto le
tettoie immortalate da Welcome, il film che nel 2009 ha mostrato al mondo
la tragica epopea dei "clandestini" di Calais. Una città
simbolo nella storia della migrazione contemporanea.
Vi si ammassavano
quasi duemila fra africani, curdi e afgani fino a due anni fa. Oggi, dopo
gli sgombri e i rimpatri dello scorso annoi, i migranti che aspettano
di partire sono rimasti in duecento. Ma il ricambio è continuo,
assicurano gli operatori dell'associazione Salam. "Ci sono continui
nuovi arrivi, e per l'Inghilterra si parte tutte le notti". Due ragazzi
sudanesi in fila per la mensa hanno appena messo piede in città,
sono sbarcati a Venezia e hanno passato i controlli delle polizia per
poi risalire in treno tutta la Francia. A Luglio erano a Patrasso, un'altra
città di frontiera da dove centinaia di migranti tentano di partire
per i porti dell'Adriatico, risalendo il vettore migratorio che attraversa
Medio Oriente, Turchia, Grecia e arriva in Italia. Una rotta nota soprattutto
agli afgani rintanati nella jungle, la distesa sabbiosa fra il porto e
la zona industriale di Calais che nasconde nelle sue fratte una serie
di accampamenti.
Lo scorso 22
settembre le ruspe della polizia francese si abbatterono sull'estesa baraccopoli
degli afgani pashtun, 276 di questi furono fermati e fatti rimpatriare,
molti riuscirono a scappare per poi ritornare silenziosamente nella jungle,
passata la bufera. Ci spingiamo nella sua radura per incontrarli, ma la
paura di nuove retate è altissima: appena ci vedono da lontano
scappano all'impazzata e si perdono fra le dune, in una fuga disperata
dentro cui risuona una babele di lingue, il tigrino e il pashtun dello
loro terra in guerra, il turco, il greco e l'italiano che molti di loro
hanno imparato a conoscere attraversando di nascosto Stati e frontiere,
prima di arrivare al confine fra Francia e Inghilterra, ennesima tappa
di un viaggio infinito.
|