INTEGRAZIONE E RADICI

L'IDENTITA' SI IMPARA A SCUOLA

ISTITUTI STRANIERI NEL TRIVENETO

 

Una terra di passaggio: l’Italia. Almeno secondo i ragazzi serbi, «figli» dell’ultima «diaspora», esodo a seguito della crisi economica dopo la “guerra di Jugoslavia” e la dissoluzione dello stato socialista: in molti hanno abbandonato i Balcani in cerca di fortuna, tanto che nel Vicentino si contano 20mila immigrati serbi. Figli che stanno dimenticando la lingua madre. Di qui la scuola di Vicenza, finanziata dal ministero dell’Istruzione di Belgrado. «Il rapporto con la “diaspora” – spiega Snezana Petrovic, responsabile didattica – è fissato dalla nostra Costituzione, che impegna lo Stato a sviluppare legami con gli emigrati». Ma la scuola com’è nata? «Su richiesta – continua la Petrovic – di Milivoje Topic, pope ortodosso di Vicenza. Un’iniziativa sostenuta dal console (a Trieste) Mirjana Kotlajic». Non solo la città palladiana. «Quest’anno 108 iscritti: sei gruppi di alunni, di cui quattro a Vicenza (scuole “Loschi” e “Barolini”), uno a Bassano del Grappa (parrocchia Ss.ma Trinità) e uno a Rovereto (parrocchia Sacra Famiglia). Studenti dalla prima elementare alla terza media, in orario extracurriculare. E tre materie: lingua, cultura e “la mia patria”». A fine percorso (otto anni), un diploma «per continuare gli studi in Serbia». Nessun credito per il sistema italiano. I ragazzi si preparano a tornare in patria? «Non è detto - termina -: il legame è forte, con Italia e Serbia; ma si sentono “stranieri” qui e lì. Sognano altri paesi occidentali; e forse la scuola è nata per questo».

Situazione simile a quella che dal 2007 ha dato vita a scuole «romene» a Padova, Udine, e Pordenone, nate dalla collaborazione tra i ministeri dell’istruzione di Roma e Bucarest. «I genitori degli studenti (più di 100 solo in Friuli Venezia Giulia, dalle elementari alle superiori) - afferma la docente Mirela Corina Chindea –, pensano di “tornare a casa” con figli al seguito; ma per continuare gli studi in patria ai ragazzi serve il diploma di partecipazione a corsi interdisciplinari (finanziati da Bucarest), che si tengono in scuole pubbliche e in orario extracurriculare». Vantaggi per chi resta? «Nonostante il patrocinio di direzioni didattiche regionali – termina -, sui crediti formativi decidono singoli consigli scolastici».

Tra le antiche mura del convento delle Orsoline di Feltre (Belluno), invece, l’«Associazione amicizia italo-marocchina» ha organizzato corsi di lingua araba per alunni dai sei ai 17 anni. Con pochi soldi e tanta «spontaneità». «Ce lo chiedevano famiglie magrebine – spiega il vicepresidente Lakbir Lakhdar – perché i figli conoscono i “dialetti” (marocchino, tunisino, algerino), ma non una parola di arabo classico, quello dei documenti ufficiali». Il corso è gratuito: 50 iscritti, divisi in due gruppi; tra di loro, anche un italiano. Al termine, l’associazione rilascia un attestato di partecipazione. Due i docenti: il primo «ha la maturità scientifica», il secondo «insegnava nel paese d’origine». Entrambi, “nella vita”, fanno gli autisti. Chi non è più adolescente, invece, l’arabo può apprenderlo (dal 2005) al Ctp (Centro territoriale permanente) “ospitato” nella scuola media statale “Ippolito Nievo” di Belluno. «Un corso modulare (da 20 a 26 ore con incontri settimanali di 2 ore) – spiega la responsabile Michela Fregona - strutturato in due livelli: quello “di base” (13 iscritti) e quello “avanzato (7)». Gli studenti? «Italiani - termina -: viaggiatori, imprenditori e poliziotti».

 

Marco de' Francesco

Sole 24 Ore Nordest

30 marzo 2011