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Nuove regole per diventare docenti

 

Insegnante,

un mestiere da rivalutare 

 


Il 28 agosto il Ministero della Pubblica Istruzione ha diramato un comunicato stampa che spiega le nuove regole per diventare insegnanti. Il Ministro Mariastella Gelmini e il professor Giorgio Israel – presidente della commissione che ha progettato la riforma – hanno presentato le novità basate su tre grandi linee:  il tirocinio da svolgere direttamente a contatto con le scuole e col "mestiere" di insegnante: perché insegnare non può essere solo teoria ma anche pratica; il numero di nuovi docenti sarà deciso in base al fabbisogno. Fine dell’accesso illimitato alla professione che creava il precariato; più inglese e nuove tecnologie.


La riforma dovrebbe portare una maggior qualità dell’insegnamento e una sensibile riduzione del precariato.

Se infatti con il vecchio sistema la strada per insegnare nella scuola dell’infanzia e in quella primaria (l’asilo e le elementari, per chi è abituato ai vecchi nomi) era il conseguimento della laurea quadriennale in scienze della formazione primaria alla quale seguiva l’abilitazione per la scuola d’infanzia o primaria, ora il numero di ammessi al corso di laurea non sarà più illimitato ma programmato e calibrato sulle effettive esigenze del sistema.

Per quanto riguarda le scuole secondarie di primo e secondo grado (medie e superiori) sarà necessaria una laurea magistrale (quinquennale) più un anno (475 ore di affiancamento più laboratori) di Tirocinio Formativo Attivo che va dunque a sostituire i vecchi 2 anni di Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario. Come dicono al Ministero "si passa dal sapere al saper insegnare". Anche per il tirocinio sarà previsto l’accesso programmato calibrato sulle esigenze regionali.

Tempi più  brevi, dunque, e maggior certezza di un posto di lavoro al termine del percorso formativo. 

Certo non una panacea a tutti i mali, ma un buon passo avanti. I problemi che affliggono la professione sono ancora molti. In tutti i livelli dell’istruzione in Italia – come sappiamo – si registra un altissimo tasso di precariato: molti giovani che aspirano alla carriera di insegnante si vedono privati della possibilità di un posto di lavoro a causa di graduatorie lunghissime e spesso assai difficili da scalare. Inoltre, oggi più che mai, il mestiere di insegnate viene costantemente messo in cattiva luce da episodi di mala-scuola inerenti sia alla carenza di competenze che alla scarsa preparazione comportamentale di alcuni insegnanti: non da ultimo l’episodio della maestra che parrebbe aver strattonato un alunno per colpa di un cellulare.

Non bastasse questo, il mestiere è svilito da compensi spesso non solo inadeguati al ruolo, ma che tendono ad appiattire differenze anche accentuate. Senza contare l’atteggiamento da parte di genitori e figli verso l’istituzione scolastica, vista sempre meno come educativa. Così, allontanati da peripezie e lungaggini burocratiche, incertezza sull’esito degli studi, stipendi inadeguati e maltrattamenti vari ed eventuali, quella che dovrebbe essere una professione altamente gratificante e aspirazionale è diventata oggi per molti un ripiego di ultima istanza. E la qualità ne risente particolarmente.   

La soluzione non è certo semplice ed è necessario evitare l’errore di cedere a tutte le richieste nel tentativo effimero di accontentare ampi strati sociali. L’assunzione di molte persone – magari senza competenze – sebbene diminuirebbe il precariato, porterebbe a un enorme spreco di risorse che in tempi di forzata austerity non sono concedibili. Né il rigore nell’ applicazione di azioni disciplinari severe, certe e mirate porterebbe miglioramenti qualitativi. Né l’applicazione di gabbie salariali farebbe altro che incentivare l’emigrazione. 

E’ necessario un ripensamento completo del ruolo dell’insegnante, da valutare nel complesso delle attività formative, educative e di indirizzo che ognuno ricopre. Forse, come propone qualcuno, bisognerebbe rifondare il vecchio Albo degli Insegnanti conferendo ad esso le funzioni di un Ordine Professionale più che di un albo. La creazione dell’Ordine degli Insegnanti, per esempio con diverse categorie come avviene per altre professionalità, consentirebbe di ripetere l’esperienza che avviene in altre professioni molto importanti per la vita di una nazione evoluta come la nostra. La creazione di un codice deontologico porterebbe giovamento a un mestiere, come abbiamo detto, bistrattato da giudizi malevoli e comportamenti inidonei: il governo diretto da parte dell’ordine costituirebbe un ottimo deterrente a comportamenti censurabili. L’esame di Stato investirebbe gli insegnanti del reale altissimo ruolo istituzionale che sono portati a ricoprire. L’autogoverno degli iscritti, inoltre, consentirebbe criteri più equi di valutazione delle prestazioni che, per loro natura, non sono spesso valutabili secondo standard normativi rigorosi. Senza contare il fortissimo vantaggio fiscale nel consentire agli insegnanti di poter svolgere la professione anche al di fuori della struttura pubblica o paritaria: in due parole i docenti potrebbero tranquillamente impartire lezioni private o per enti di formazione senza dover ricorrere, in queste eventualità, al "lavoro nero".

Infine, una rivalutazione della professione non può che passare da una riconsiderazione dei compensi. 

 

 

Alessandro Zanchetton