home

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

padova

economia

 
 
 
 
 
 

 

Le Idi di marzo

 

Cassio

Brevissimo saggio sull'origine della tribus


Cassio potrebbe tranquillamente attentare alla vita di Cesare da solo, se fosse solamente questo atto il fine ultimo che si è prefissato. Potrebbe appostarsi nel Foro, dietro una colonna, e aspettare il momento propizio. Il fatto è che per Cassio la morte di Cesare è un mezzo, non un fine. Ciò che intimamente desidera il congiurato è terminare definitivamente la paura, il timore che Cesare rappresenta con la sua persona.


         La prima mossa di Cassio consiste dunque nell’irretire Bruto, nobile discendente di quel Bruto che scacciò il tiranno Tarquinio da Roma. Bruto incarna, con la sua persona, i valori della più nobile stirpe romana, quelli stessi della tradizione repubblicana. Il suo nome è circonfuso da un’aurea di eroismo e di libertà: è il giusto antidoto, per così dire, al cesarismo, alle folle trionfanti e a tutti coloro che si preparano a prostituire la costituzione repubblicana cingendo il capo del generale con la corona imperiale. Considerate le folle invigliacchite e servili, Cassio immagina di riunire tutti coloro che rappresentano, per un qualche verso, lo spirito della migliore memoria romana. E Cassio ha ben chiaro quali siano i tasti ai quali Bruto è sensibile. Uomini del tipo di Bruto preferiscono di gran lunga morire piuttosto che sentirsi soggiogati da qualcosa o da qualcuno. Così, quando le trombe squillano e le grida si levano alte nei cieli di Roma, Bruto proferisce una frase che apre le porte a Cassio e al tentativo di questi di spargere il seme della congiura: “Che significano queste grida? Ho paura che il popolo elegga Cesare al trono regale” (1) .

Nel momento in cui Cassio replica: “Ah, ne hai paura? Debbo dunque pensare che non vorresti che ciò avvenisse”(2) in questo preciso momento, il patto può dirsi quasi perfezionato, perché Bruto e Cassio si sono riconosciuti nella paura, elemento unificante e costituente. Ma l’accordo ancora pende dalle labbra di Bruto, che lo perfeziona definitivamente affermando: “Non vorrei, Cassio (…)”(3) . E’ nata la tribus, originata dalla paura che lega ed edifica, ed è diretta verso un solo obiettivo: Cesare, il nemico della tribus.


         E perché Cesare è divenuto un nemico, anzi, il nemico? Perché la sua gloria oscura quella dell’epoca, del secolo, di Roma e di tutti i romani. Dice Cassio a Bruto: “O secolo in cui viviamo, sei disonorato! Roma, hai perduto la capacità di generare uomini di nobile sangue! Quando mai si è potuto dare a un secolo, a partire dal diluvio universale, che fosse famoso a causa di un uomo soltanto? Quando mai si è potuto dire, prima d’ora, parlando di Roma, che le sue grandi strade son percorse da un uomo solo? Ora sì che in Roma vi è spazio da vendere, poiché in essa vive e prospera un solo abitante (…)”(4)

E’ la grandezza stessa di Cesare ad ingenerare, negli spiriti che non gli sono affini, la percezione della differenza, - cioè di quella distanza incolmabile che separa un individuo da tutti gli altri, e che determina questi alla congiura, cioè al tentativo di eliminare fisicamente quella disparità che suscita paura, - essendo incolmabile e quindi incomprensibile. La teoria di conseguenze che l’affermarsi della differenza potrebbe produrre terrorizza i congiurati; essi sono posti di fronte a circostanze che non possono controllare se non rimuovendone la causa.   


         Cassio deve però accertarsi che l’affiliazione di Bruto sia definitiva; è consapevole del fatto che Cesare sia un uomo notevole e che eserciti un’attrazione fatale su coloro che, come Bruto, hanno condiviso con lui straordinarie vicissitudini (5) .

Anzitutto, Cassio cerca di affermare le ragioni della tribus, e di sottolineare la prevalenza di queste sulla vita dell’uomo Cesare, individuo straordinario ma pur sempre umano: “Io sono nato libero quanto Cesare”, afferma, “E tale nascesti anche tu. Entrambi ci siamo nutriti allo stesso modo ed entrambi possiamo sopportare quanto lui il freddo dell’inverno (…)”(6) .

E ancora: “Vi sono dei momenti in cui gli uomini sono padroni del loro destino: la colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle ma in noi stessi, se non siamo altro che dei sottoposti. Bruto e Cesare. Che c’è in questa parola: Cesare? Perché questo nome dovrebbe risuonare per una fama maggiore della tua?”(7) .  


         Peraltro, per delimitare i confini della figura dell’eroe Cesare, Cassio racconta alcuni aneddoti, tesi a porre in luce deteriore l’uomo, certamente inferiore al suo nome. “(…) poiché una volta, in una giornata rigida e ventosa” racconta, “mentre il Tevere smaniava contro le sue sponde, Cesare mi disse: “Ti basta il cuore, o Cassio, per balzare insieme a me nella rapida corrente, e nuotare fino a quella riva?”. Armato com’ero, e senza aggiunger parola, mi tuffai nel flutto e gli chiesi di seguitarmi. E così, infatti, egli fece. La corrente rumoreggiava, e noi la battevamo con i nostri muscoli possenti, facendola partire in due e affrontandola con il cuore delle imprese gagliarde. Ma, innanzi che potessimo attingere il punto che ci eravamo preposti, Cesare gridò: “Soccorso, Cassio, o ch’io m’affogo!””(8)     

    Ma non basta dargli del debole; bisogna affibbiargli il segno del vigliacco. Per questo Cassio racconta a Bruto che, quando Cesare era in Spagna, gli venne una febbre, “e al momento più violento dell’accesso ho dovuto notare quanto quell’uomo se ne lasciasse scuotere. E’ proprio così: questo dio tremava tutto. Le sue labbra vigliacche se ne sfuggirono dalle loro bandiere colorate e quello stesso occhio che soltanto all’inchinarsi spaura il mondo intero, perdette ben la sua luce. E lo udito gemere: proprio così: quella sua lingua che costrinse i romani a scrivere i suoi discorsi nei lor propri libri, quella stessa lingua, ahimè, prese a gridare: “Dammi, Titinio, un sorso d’acqua!” allo stesso modo che una fanciullina inferma”(9) .


         Queste affermazioni hanno lo scopo di congedare Cesare dall’ambito di valori nei quali Cassio, Bruto e l’edificanda tribus si riconoscono: coraggio, lealtà verso gli amici, dedizione verso la causa di Roma. E’ evidente che per legittimare l’azione contro Cesare, è necessario prima definire la non-appartenenza alla causa comune, la non-adesione del generale alla sfera psicologica dei congiurati. E’ necessario erigere la barriera tra Cesare e la tribus; perché Cesare possa essere eliminato, prima deve essere misconosciuto.


         Una volta ribaltato il significato della differenza, la sua rimozione non soltanto è possibile, ma è legittima. E’ per questo motivo che Bruto, appena dopo l’uccisione di Cesare, può gridare: “L’ambizione ha pagato il suo debito”.(10)        

 

 

 

     


(1) William Shakespeare, Giulio Cesare, traduzione di Gabriele Baldini, BUR, 1981, Atto I, Scena II: “What means this shouting? I do fear the people choose Caesar for their King.” 

(2) Ibidem, Atto I, Scena II: “Ay, do you fear it? Then must I think you would not have it so”.

(3) Ibidem, Atto I, Scena II: “I would not, Cassius (…)”.

(4) Ibidem, Atto I, Scena II: “Age, thou art sham’d! Rome, thou hast lost the breed of noble bloods! When went there by an age, since the great flood, but it was fam’d with more than with one man? When could they say, till now, that talk’d of Rome, that her wide walks encompass’d but one man? Now is it Rome indeed, and room enough, when there is in ot but one only man”. 

(5) Ibidem, Atto I, Scena II:”yet I love him well”.

(6) Ibidem, Atto I, Scena II: “I was born free as Caesar; so were you; We both have fed as well, and we can both endure the winter’s cold as well as he (...)”.

(7) Ibidem, Atto I, Scena II: “Men at some time are masters of their fates: the fault, dear Brutus, is not in our stars, but in ourselves, that we are underlings. Brutus and Caesar: what should be in that “Caesar”? Why should that name be sounded more than yours?”

(8) Ibidem, Atto I, Scena II: “(…) for once, upon a raw and gusty day, the troubled Tiber chafing with her shores, Caesar said to me: “Dar’st thou,Cassius, now leap in with me into this angry flood, and swim to yonder point?” Upon the word, accoutred as I was, I plunged in and bade him follow; so indeed he did. The torrent roar’d, and we did buffet it with lusty sinews, throwing it aside and stemming it with hearts of controversy. But ere we could arrive the point propos’d, Caesar cried: “Help me, Cassius, or I sink”.

(9) Ibidem, Atto I, Scena II: “He had a fever when he was in Spain, and when the fit was on him, I did mark how he did shake; ‘tis true, this god did shake; his coward lips did from their colour fly, and that same eye whosa bend doth awe the world did lose his lustre; I did hear him groan; ay, and that tongue of his, that bade the Romans mark him and write his speeches in their books, alas, it cried, “Give me some drink, Titinius,” as a sick girl”. 

(10) Ibidem, Atto III, Scena I: “(…) ambition’s debt is paid”.

 

 

 Marco de' Francesco

da "I Seleniti", scritti tra il 1988 e il 2006

altri saggi