Waqa si ritira

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memlingSecondo un'antica fiaba Oromo (Etiopia), c'era un tempo "in cui Waqa (divinità Oromo) era molto vicino alla terra, e la gente poteva chiedergli qualunque cosa le servisse. Quando era vicino alla terra c'era sempre abbondanza di pioggia.

Una volta, Waqa mandò a chiamare tutti gli animali e disse loro: «Potete parlarmi liberamente ed anche lamentarvi delle cose che vi fanno soffrire».

Allora gli animali si riunirono davanti a Waqa.

Il primo ad essere invitato a parlare da Waqa fu l'asino. Gli si fermò davanti e disse: «O Waqa, mi hai chiesto di parlare, ma io devo soltanto ringraziarti. Non ho motivo di lamentarmi».

 

Poi venne il cavallo. Anche il cavallo fu molto rispettoso verso Waqa: «Ho soltanto ringraziamenti da presentarti, Waqa», disse «grazie per l'erba che mi dai da mangiare, per l'acqua che mi dai da bere, e per il tuo sole che mi riscalda».

Tutti gli animali parlarono allo stesso modo, fino a che, alla fine, venne la volta del mulo. Il mulo si lamentò e disse: «O Waqa, tu mi hai ordinato di parlare. Ebbene! Tu te ne stai con il tuo addome troppo vicino alla terra. Piove davvero troppo». E mentre parlava con questo umore, divenne sempre più arrabbiato, finché non prese proprio a calci l'addome di Waqa.

Allora Waqa si ritirò, innalzandosi dalla terra. Si ritirò da tutti noi, ma si ritirò particolarmente dal mulo: da quel giorno in poi il mulo fu incapace di generare"(1) .

Si potrebbero reperire, in qualsiasi testo di antropologia, innumerevoli esempi di tentativi di comunicazione tra entità distinte e autoritarie e massa indistinta, che assume, nelle civiltà "primitive", sembianze animalesche. La trascendenza che caratterizza tali rapporti non deve trarre in inganno; l'opera di René Girard ha chiarito in modo inequivocabile cosa si celi dietro il religioso primitivo, cosicché possiamo sentirci licenziati ad attribuire ad un Waqa una qualsiasi funzione giudiziaria o politica. Dopo esserci assunti tanta libertà, non possiamo esimerci dall'esporre due considerazioni: anzitutto, prendere come riferimento un René Girard può apparire una sorta di sentenza definitiva, e sfavorevole, visto che questi, come tutto ciò che deriva da Nietzsche, sente il pathos della distanza, la connaturata differenza tra uomo e uomo. In secondo luogo, una breve disamina degli esempi di cui si diceva non può che rivelare un denominatore comune: l'impossibilità di una comunicazione vera, "efficace", tra uomini di valore difforme. Tanto fu radicato questo convincimento nel genere umano che, in relazione all'occultamento della differenza, Shakespeare dice: "...O, when Degree is shaked / Which is the ladder to all high design, / The enterprise is sick!..."(2) e Campanella, che pura aveva teorizzato il mostro politico della "Città del Sole", in relazione al popolo, ammette sconsolato: "Tutto è suo quanto sta fra cielo e terra, / ma nol conosce; e se qualche persona / di ciò l'avvisa, e' l'uccide e l'atterra"(3) . E, più recentemente, una pietra tombale sulla comunicazione verticale la posero, ma con classe, il poeta Yates: "The weak lay hand on what the strong has done / Till that be tumbled that was lifted high / And discord follow upon unison, / And all things at one common level lie"(4)e lo scrittore Lautréamont: "Vous autres, vous avez marché dans votre voie, moi, dans la mienne, pareilles toutes les deaux, toutes les deaux perverses. Nécessairement, nous avons dû nous rencontrer, dans cette similitude de caractère ; le choc qui en est résulté nous a été réciproquement fatal"(5)

Ma il nostro approccio potrebbe risultare fuorviante; non è assurdo ritenere che la nostra società sia un fatto nuovo nella storia dell'umanità – un fatto che ha rotto in modo tanto radicale con le tradizioni e le regole delle società precedenti, largamente fondate sullo spirito di conservazione, che ci si può chiedere se si possano usare ancora le stesse parole per definirla e spiegarla. Tra la prima e le seconde società la differenza è forse tra generi; il fatto che questa circostanza non sia stata ancora sottolineata a dovere appare di una gravità inaudita, ove si pensi che tutti gli studi di antropologia e antropologia filosofica si basano unicamente su un prototipo: la società del terrore – quella dei Nuer, per esempio.

Non è assurdo pensare che la nostra società sia, per complessità, affatto diversa da quelle del passato, e che la complessità sia un elemento fondante. Nelle vicinanze delle strutture complesse si reperiscono sempre elementi di novità; cosicché si potrebbe supporre, come ipotesi, che il rapporto Waqa-popolo si ponga oggi in termini di comunicazione. Se ciò è vero, dovremmo essere in grado di individuare il periodo in cui questo genere di relazione è diventata necessaria.

Durante la Prima Repubblica l'esistenza di poderosi contenitori di ideologie, i meccanismi della legge elettorale, il genere di carriera "interna" ai partiti, la lottizzazione di qualsiasi contesto sociale, culturale e di informazione rendono assurda e irragionevole qualsiasi pretesa comunicativa. Il politico parla ai suoi, e soltanto in occasioni particolari come le elezioni e i comizi. Per il resto, utilizza slogan e un linguaggio stereotipato detto "politichese", oscuro ai più e composto da proposizioni accuratamente preparate per non dire nulla di particolare, per restare nel vago o lanciare avvertimenti agli avversari. Il vero significato di espressioni come "convergenze parallele" è lasciato all'immaginazione dei giornalisti, che in genere interpretano queste sentenze in funzione di bassi criteri di appartenenza. Eroe indiscusso di questo lessico è Waqa-Forlani detto "il pompiere"; a seguito di riunione fiume e penta-partitica per decidere delle sorti del governo, al giornalista che gli chiede cosa si è deciso, egli riesce a dire qualcosa come: « si è tenuta una riunione programmatica che ha evidenziato delle convergenze meritevoli di approfondimento». Strepitoso. In America la stampa lo avrebbe crocifisso, ma in Italia il giornalista conosce i limiti della propria attività, e non gli salta in mente di ribattere: «scusi, ma che cavolo dice?». Se gettiamo indietro uno sguardo, ci accorgiamo che, in generale, la relazione tra Waqa e popolo nel corso della Prima Repubblica può essere validamente definita dal noto paradosso wildiano sulla democrazia: "la camera dei Comuni non è mai in contatto con l'opinione pubblica e ciò ne fa un gruppo civile"(6) . Waqa-Andreotti non si sente in dovere di fornire alcuna spiegazione; egli è autocratico, è il potere, e di ciò che pensano gli altri fondamentalmente se ne infischia. Il suo potere travalica qualsiasi competenza personale ed è assicurato dal voto di scambio: il suo ufficio funziona come un'agenzia di collocamento, ma è più efficiente. Di un uomo si può dire: "quello è in quota ad Andreotti". A proposito di aforismi di Wilde, l'edizione di Epoca!(7) contiene una presentazione di Andreotti sinceramente impressionante. Comincia così: «So pochissimo, non ho assistito ai suoi lavori teatrali e ho letto soltanto qualche pagina di Oscar Wilde. Sarei quindi il meno indicato a presentare questa sua "summula"...» - il che significa, anche per chi non dispone di un udito particolarmente raffinato: il potere colma qualsiasi forma di incompetenza personale. E come se chi scrive, che della matematica del liceo ha solo vaghi ricordi, stendesse una presentazione ad un testo universitario di meccanica razionale. Può? No. Perché? Perché anche questi piccoli abusi presuppongono un ambiente che li tolleri e un potere che li garantisca. Per essere ancora più chiari, riportiamo una celebre frase di un amico di Andreotti, Alberto Sordi, tratta da "Il marchese del Grillo": "perché io so' io, e voi non siete un c...".

Di Waqa - Antonio Gava si può dire che il suo massimo contributo al lessico del tempo sia la "minaccia". Diretta o indiretta, insinuante o metaforica, la sua efficacia poggia sulla tradizione popolare che vuole il ministro grande amico di Carmine Alfieri e la sua gang. Ad un giornalista, che ha in sorte di uscire di senno e domandargli: "Si dice che lei divori i propri avversari", il ministro risponde con tutta calma: "Solo quelli che mi stanno antipatici". Il giornalista, capita l'antifona, si ritira nell'oscuro ambiente dei libellisti di corte, sperando di essere presto dimenticato.

D'altra parte, il lessico delle formazioni di sinistra appare non meno disarmante. Quando Pasolini diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa, non viene visto di buon occhio dagli intellettuali comunisti friulani. Questi ultimi scrivono soggetti politici servendosi dell'ingessata lingua del Novecento, mentre Pasolini utilizza un lessico semplice e popolare, senza cimentarsi per forza in soggetti politici. "Agli occhi di molti tutto ciò risulta inammissibile: in Pasolini molti comunisti vedono un sospetto di disinteresse per il realismo socialista, un certo cosmopolitismo, e un'eccessiva attenzione per la cultura borghese"(8) .

Per certi versi, il modello asimmetrico e non interattivo della comunicazione politica di massa negli anni della prima repubblica non rappresenta alcuna novità. Anzi, si può riscontrare un regresso rispetto ad altre epoche, anche lontane, ove la violenza e l'intrinseca incertezza dei sistemi politici impongono di reperire soluzioni più ingegnose. Il modello relazionale Waqa-popolo prevede, nel corso del Rinascimento, almeno tre figure: il committente, il creativo e il ricevente. Nel 1450 Angelo Tani è nominato direttore della prestigiosa filiale di Bruges della Banca de' Medici. E' giovane, ma ambizioso, e soprattutto gode dell'appoggio di Cosimo de'Medici, l'uomo più potente della Toscana e certamente uno dei più ricchi del mondo di allora e di sempre. Dal punto di vista costituzionale, Firenze è una democrazia, anche se il suffragio non è universale. Di fatto, un fiorentino del tempo non avrebbe compreso il concetto di "signoria", visto che si svolgevano delle elezioni che la famiglia de' Medici vinceva sistematicamente corrompendo i grandi elettori. Poter contare sull'appoggio di Cosimo e dei grandi elettori poteva significare, per Angelo Tani, motivo di una prodigiosa ascesa politica. Nel 1464, poco prima della scadenza del suo terzo mandato quinquennale a Bruges, muore Cosimo e il successore, Piero, nomina nel 1465 Tommaso Portinari come direttore della filiale di Bruges. Il progetto politico di Angelo Tani sembra sfumare. Nel 1466 il nostro sposa la bella Caterina Tanagli e incarica il grande pittore Hans Memling, che risiede a Bruges, di realizzare un trittico per celebrare le nozze. Si tratta del famoso "Trittico del Giudizio Universale", opera destinata, nell'intenzione del Tani, a far mostra di sé nella Badia ai piedi di Fiesole, presso Firenze. Il Giudizio è un grande capolavoro, e non è certo questa la sede per analizzare la tecnica di composizione e l'opera nel suo complesso; ci soffermeremo su un dettaglio, che però riveste un significato notevole ai fini del nostro discorso: al centro del trittico San Michele regge una bilancia, simbolo universale della giustizia, e pesa i giudicati; il personaggio inginocchiato sul piatto di sinistra, quello destinato alla salvezza eterna, è il committente che nel frattempo ha assunto i tratti di Tommaso Portinari. Sì, perché l'esecuzione dura circa sette anni, e nel frattempo, considerato il declino politico del Tani e l'ascesa del Portinari, è probabile che Memling decida di cancellare con uno strato di asfalto e bianco di piombo il volto del committente originario. Sic transit gloria mundi! Comunque si intenda la vicenda umana che fa da cornice al quadro(9) , la via da noi cercata ci impone di considerare attentamente il messaggio che il Tani, attraverso l'opera, vuole trasmettere ai maggiorenti fiorentini e al popolo in generale. "Vedete? – vuole dire – io sono un uomo onesto, credibile. Potete fare massimo affidamento su di me. Lo garantisce Hans Memling, un artista, un genio. Su di me si può contare". E'probabilmente un'invenzione tutta italiana l'utilizzo dell'estetica del sublime per trasmettere messaggi politici. In fondo, che fa Michelangelo se non divulgare il pensiero politico di Giulio II? La celeste trasfigurazione dei personaggi; il senso di identificazione orgogliosa con la dinastia al potere, la cui grandezza si comunica, per graduate gerarchie, sino alla povera plebe; l'eloquenza celebrativa o encomiastica, arricchita dalla narrazione di vicende, vere o presunte tali – sono elementi che a noi sfuggono, perché presuppongono un diverso rapporto con il potere, un diversa considerazione per la gerarchia. E la narrazione, trasmessa per immagini, deve risultare di un'efficacia terribile, fatale. Di quell'epoca antica si può dire: vivono poco, ma sono persuasi. Lo Stato, l'Impero, la Chiesa, le Grandi famiglie – sono ragioni di vita e di morte: la gente va a farsi ammazzare, per essi. Cos'è cambiato? Anzitutto il committente: rispetto ai Bembo, ai Barbaro, ai Barbarigo, ai Medici e alla classe dirigente italica del tempo in generale, quella attuale sembra, con qualche eccezione, ciò che è: "una ciurma di merciai ambulanti, di tagliaborse, di ladri da strada e di bravacci"(10) . In secondo luogo il senso della gerarchia, che è per noi un sentimento sottilissimo; anzi, la sua celebrazione allarma, quando non risulta ridicola. In terzo luogo, il popolo. E' addirittura impossibile qualsiasi confronto, perché la mezza-cultura attualmente diffusa presso le masse, oltre che vari danni, ha anche generato un senso storico e critico non reperibile in altre epoche. Infine il medium. Nel Rinascimento è un pittore; nel corso della prima repubblica è un'articolazione del partito, dal quale non si distingue, almeno in termini di percezione popolare. Ai tempi nostri, e con ciò si intenda il periodo successivo al crollo del muro di Berlino (in Italia, la cosiddetta Seconda Repubblica, a seguito della vasta operazione giudiziaria denominata "mani pulite") si tratta di esperti della comunicazione o di mezzi di comunicazione di massa orientati politicamente o in qualche modo controllati dai partiti.

Il crollo del muro di Berlino, che sta ad indicare la fine dell'URSS e la limitazione della sua sfera di influenza, è stato un evento epocale. Talmente gravido di conseguenze che solo grazie ad esso si può ipotizzare, in molti paesi tra i quali in nostro, la configurazione di un diverso genere di relazione tra il potere e la massa. Il potere, spogliato di una qualsiasi rilevanza ideologica, è forse costretto, per affermarsi e perpetuarsi, a venire a patti con le masse, ad ascoltare le esigenze della plebe. Waqa torna a chiedere agli animali di che cosa abbiano bisogno.

Che cosa è accaduto? L'Unione Sovietica si dissolve perché non è più in grado di competere con gli Stati uniti d'America. Negli anni '50, al tempo dell'industria pesante, il prodotto interno lordo dei due stati è paragonabile; l'URSS, che sconta una certa arretratezza tecnologica, può però contare su immense ricchezze naturali. Gradualmente tuttavia, si afferma ovunque una nuova ricchezza svincolata dalla produzione dell'acciaio, del carbone e delle materie prime: è l'industria dei beni di consumo, prima, e dei servizi, dopo. L'URSS, che non dispone delle competenze né della mentalità necessaria per attuare questa silenziosa rivoluzione industriale, si sfalda in silenzio, come l'Impero Romano. E con essa affonda un sogno; non si può negare che questo paese rappresenti, per milioni di persone e forse paradossalmente, un ideale di uguaglianza e libertà. Gli USA non vincono sul campo di battaglia. E' il mercato capitalistico che mostra i limiti della concezione socialista dello stato. Vince il mercato, e ad esso il mondo si affida acriticamente; non resta che consegnarsi ad esso. Verso la metà degli anni '90 circolano, anche presso prestigiose istituzioni economiche e universitarie, pittoresche teorie attorno alla capacità salvifica del mercato; la più curiosa, quella del "mercato che regola se stesso", presagisce l'asservimento della politica alle regole del capitale. La politica può esistere solamente come relazione tra produttore e consumatore del prodotto politico. Non si tratta di stabilire se ciò sia un bene o un male: è un dato di fatto. Il prodotto politico si presenta armato di tutte le tecniche mutuate dal marketing, e sarà tanto più efficiente quanto le immagini e le narrazioni che lo compongono saranno riconoscibili dalle masse. Questo implica diversi effetti, che la vecchia scuola descriverebbe in termini di positività e negatività; ma secondo la nuova questa distinzione potrebbe risultare capziosa. E' certo che la capacità di ascolto rappresenti un momento fondamentale del contratto politico; d'altra parte, perché un prodotto funzioni, deve senz'altro corrispondere alle esigenze del pubblico. L'interazione è la colonna portante di ogni rapporto (quasi) paritetico. E' sicuro che il ricevente sperimenterà il prodotto politico alla luce delle proprie esperienze: lo fa per il televisore e il frigorifero, perché non dovrebbe farlo per cose più importanti? E' naturale altresì che un prodotto politico dotato di grande valore simbolico riscontri facilmente i favori del pubblico: oggi la gente attribuisce un valore simbolico a un pezzo di metallo con quattro ruote o a un altro con due lancette. Viviamo in un'epoca in cui i simboli non hanno molto a che fare con le idee. E' certo infine che il messaggio in grado di raccogliere l'apprezzamento popolare sarà quello chiaro e semplice; il grande comunicatore è anche un semplificatore, e quindi, necessariamente, almeno un po' demagogo. Fare appello alle necessità più immediate significa escludere dalla comunicazione politica tutti quei valori che hanno di fatto distinto il genere umano dal resto della creazione. Non si parlerà mai di ciò che è grande, importante, distintivo. La società attuale si è radicata nel temporaneo.

A seguito degli studi di Lévi-Strauss(11) si è detto: le istituzioni conferiscono identità. Perché una istituzione sia stabile, è necessario che disponga di requisiti intellettuali e sociali per classificare. Ma non basta: è necessario un terzo sostegno, consistente nell'ordinata determinazione morale dei suoi membri. "Questi scelgono fra analogie naturali quelle a cui credere, selezionano e scelgono anche i loro alleati e nemici e il modello delle loro relazioni future. Costituendo la loro versione della natura, sorvegliano la costituzione della loro società. In breve, costruiscono una macchina per pensare e prendere decisioni in loro nome"(12) . In una sintesi ancora più approssimativa, sono gli animali a creare Waqa perché governi. Apparentemente, la transizione dall'idea al prodotto politico dovrebbe favorire il compito di Waqa. La voce indo-europea id è presente sia in video che in eidon: dunque l'idea è una visione, ed è più semplice piazzare un prodotto che condividere una visione. A questo punto, il lettore potrebbe essere indotto a credere che nutriamo strane illusioni sul mondo che si apre dinanzi ai nostri occhi. In realtà è lecito ritenere che le cose non siano così semplici.

Evans-Pritchard è incuriosito dal fatto che i Nuer, che pure non conoscono tecniche di calcolo, riescano a ricordare lunghi elenchi di antenati. Scoprirà che questa popolazione dedita alla pastorizia dimentica molto più di quanto non ricordi, e, malgrado le nuove generazioni, il numero dei progenitori resta costante(13) . Scoprirà che i Nuer, nel decidere chi ricordare, sono condizionati dai loro sentimenti politici: sono fieramente egualitari e indipendenti. Anche nella società nuova che si va componendo in Occidente, secondo noi, e in misura molto più rilevante, il sistema di amnesia strutturale costringerà Waqa ad avvicinarsi sempre più agli animali, ma soltanto per essere riconoscibile. In una società radicata nel temporaneo anche Waqa è costantemente a rischio; nulla è veramente istituzionalizzato, tutto tende all'oblio. Waqa deve insinuarsi nei sentimenti degli animali costantemente, il suo ventre deve essere sempre in vista, altrimenti sarà dimenticato. Non ne siamo certi, ma è possibile che il processo di avvicinamento di Waqa alla terra non sia un movimento destinato a stabilizzarsi in una posizione determinata. Chi lo sa? Forse, un giorno non troppo lontano, potrebbe essere costretto a ritirarsi.

 

 

Marco de' Francesco

2006

 


1. Da L. Bartels, Oromo Religions, Myths and Rites of Western Oromo of Ethiopia, Collectanea Istituti Anthropos, Vol. 8, Dietrich Reimer Verlag, Berlino 1983, reperito in Gilberto Mazzoleni, Miti e leggende dell'Africa nera, Newton Compton, Roma, 2004, pag. 64.

2. "...Oh, quando è scossa la gerarchia, che è la scala a tutti gli eccelsi disegni, l'impresa languisce!" William Shakespeare, Troilus and Cressida, Act I, Scene III.

3. Tommaso Campanella, "Della plebe".

4. William Butler Yeats, These are the clouds. "I deboli afferrano ciò che i forti hanno compiuto, / Finché non fanno crollare ciò che era stato levato in alto, / E la discordia succede all'armonia, e tutte / Le cose sono poste allo stesso livello." Da "I poeti inglesi del 900", Bompiani, 1990, a cura di Roberto Sanesi, p. 33.

5. "Voialtri avete camminato per la vostra strada, io per la mia, simili entrambe, entrambe perverse. Necessariamente ci dovevamo incontrare, in tanta somiglianza di carattere; l'urto che n'è risultato c'è stato reciprocamente fatale" (Lautréamont, Isidore Ducasse comte de, Les chants de Maldoror, I, Paris, Balitoût, aout 1868, traduzione di Nicola M. Buonarroti)

6. Oscar Wilde, Una donna senza importanza.

7. Oscar Wilde, Aforismi scelti e tradotti da Alex R. Falzon. Presentazione di Giulio Andreotti, Epoca!, Milano 1986.

8. Iper testo del sito www.pasolini.net.

9. Angelo Tani e Caterina Tanagli moriranno a Firenze, nel 1492, stroncati da una epidemia. Nell'aprile del 1473 la galea San Matteo parte dalle Fiandre trasportando nella stiva il Giudizio Universale, che deve essere consegnato a Firenze. La galea viene attaccata da una nave da guerra proveniente da Danzica, comandata da Paul Benecke. Il bottino viene trafugato e consegnato ad un gruppo di armatori di Danzica, dove il trittico è tuttora conservato. Nel 1474 Anselm Adornes, amico del Portinari ed influente personalità fiammingo-genovese, cerca di recuperare il dipinto, ma senza successo.

10. Jonathan Swift, Viaggi di Gulliver in vari paesi lontani del mondo, Bur, 2004, Milano, pag. 330. Titolo originale: Gulliver's travels into several remote nations of the world. Londra, 1726. Qui l'autore paragona il senato romano a "uno dei nostri parlamenti". Naturalmente, anche in Italia ci sono delle eccezioni.

11. C. Lévi-Struss, Le pensée sauvage, Paris, Plon, 1962, ma anche Le regard éloigné, Paris, Plon, 1983.

12. Mary Douglas, How Institutions Think, Syracuse, NY, 1986, pag. 102.

13. E. Evans-Pritchard, The Nuer: a Description of the Modes of Livelihood and Political Institutions of the Nilotic People, Oxford, Clarendon, 1940.

 

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