La pittura astratta, figlia della paura

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bibemusNume tutelare: Quando nel 1980 si tenne la mostra di Balthus a Venezia, gens lucifuga emerse dalle nebbie dell'arte contemporanea - con un po' di timore e alla chetichella, come gli "Atleti della fede" al termine della Rivoluzione. I pittori figurativi uscivano dai rifugi ove erano stati cacciati dalla cultura ufficiale. E chi per lungo tempo era stato considerato impossibile o morto si riscopriva vivo e psicologicamente integro, e pensava di avere mantenuto animata la sostanza di un metodo che era esistito sin dalla notte dei tempi. Depositari di segreti atavici e sacerdoti di un tempio vacillante, sono forse i vincitori di una contesa di importanza mondiale; infatti, se l'arte concettuale − che si basa in gran parte sul rapporto biunivoco segno (o gesto) - significato − è un linguaggio che si esaurisce nello spendersi, ed è quindi morta, la pittura figurativa, che è polisensa, mantiene anche quando non vale un granché un'accezione importante: lo spirito di conservazione della cultura occidentale.

 

 

Origine della fede nell'arte: Quando il Romanticismo − l'ultimo dei grandi movimenti artistici − decadde, l'odore acre della sua decomposizione produsse nuovi sensi, nuove idee sul senso. Gradualmente, per motivazioni che non mi sono del tutto chiare, finì per prevalere un'idea: l'arte come progresso (1) - e le idee si succedettero alle idee, i movimenti ai movimenti. Uno dopo l'altro, ognuno di questi pareva qualificato dalla necessità di rappresentare un mattone fondamentale per una successiva e più importante edificazione - ma secondo la non troppo segreta motivazione che il tutto avrebbe contribuito ad innalzare un monumento nuovo, diverso e non riconducibile alle categorie intellettuali dei precedenti edificatori. Può sembrare un paralogismo - ed in effetti lo è. Oggigiorno la torre è incrinata, e non vi è dubbio che possa crollare da un momento all'altro, come accadde al campanile di San Marco. Più di dieci anni fa, quando scrivevo i Seleniti mi chiedevo: come salvare l'arte figurativa? Ora mi chiedo: cosa resta dell'arte concettuale, informale o povera?

 

Postulato di Sol LeWitt: Nell'arte concettuale l'idea o concetto è l'aspetto più importante dell'opera.

 

Corollario: L'arte concettuale è frutto del ripudio di prospettiva, forma e natura. Un processo che ha radici lontane.

 

Dimenticare, ma non troppo: Il Kandinsky teorico può apparire contraddittorio, sconcertante, ma non possiamo dimenticare che, come tanti altri spiriti sensibili del suo tempo, si trovò dinanzi un mondo di macerie. Chiunque potesse sentire, non poté evitare di udire il lamento dell'ultimo gigante, e insieme il frastuono di una immane risacca. Il Romanticismo − l'ultimo fenomeno umano di portata generale, in grado di ampliare e, nel senso migliore del termine, delimitare i confini del gusto e della sensibilità − si avviava, arrancando, verso la prigione della morte. E quando si estingue un'intera mentalità, per chi per essa ha vissuto e per chi di essa si è nutrito, è certamente arduo trovare qualcosa che possa, anche solo per l'immediato, sostituirla. Così, per l'autore della "Montagna Blu" (2) , dipinto intriso di un intenso spirito romantico, si dovette trattare, anzitutto, di dimenticare, per poter ricercare altrove e con animo pacato un nuovo spirito. A ben vedere, sulla soglia del secolo ventesimo si stagliava l'ombra di una nuova potenza, che pareva poter fornire risposte tranquillizzanti a tutti coloro che avevano vissuto con angoscia la scomparsa della propria realtà: la mentalità scientifica. Non dico: scienza - perché la scienza è un'interpretazione del mondo, e come tale non forma il gusto né crea la mentalità. Dico: scientismo - cioè una mentalità già formata. Quanto artisti e teorici dell'arte abbiano concertato di abbandonarsi ad esso e di riempirlo di una sostanza che nel loro campo non possedeva, appare palese dall'opera teorica di Kandinsky. Pare a me che il punto di vista scientifico che dovrebbe qualificare la sua teoria estetica, definita dall'autore "scienza dell'arte" (3) , in altro non si traduca che nell'affermazione, a buon prezzo, di ovvietà (4) . E che anche da un punto di vista filosofico, tale teorica si dimostri tutt'altro che consequenziale. In effetti, benché l'autore, travolto dall'afflato scientista ed inorridito dall'arbitrarietà dell'analisi artistica dei suoi tempi (5) , proponga di istituire nientedimeno che istituti internazionali d'arte − concepiti un po' come centri di ricerca scientifica e un po' secondo il modello Ford, e quindi votati per natura alla produzione omogenea e all'oggettività (6) − egli stesso smentisce qualsiasi possibilità di oggettivazione chiamando in causa "il suono del silenzio" (da associarsi, presumibilmente, al punto), "il doppio suono – punto, superficie", "il movimento freddocaldo" della linea diagonale – insomma e definitivamente il sensualismo più individualistico. Senza tema di apparire ridicolo, Kandisky parla come Anassimandro; ma la verità è che il tentativo, paradossale e patentemente ridicolo, di limitare lo spirito individuale nell'arte a favore di un grigio collettivo di scienziati, portava come conseguenza la generalizzazione di proposizioni personali e parziali; affermare per esempio, come fa l'autore in riferimento alla superficie, che il "sotto" suscita l'immagine della condensazione, della pesantezza, del vincolo (7) è assolutamente arbitrario; a Tizio potrebbe richiamare l'idea del sostegno, della tranquillità e della salvezza. Ma è a pagina 131 del testo "Punto, linea e superficie" che il nostro abbandona senza ritegno qualsiasi pretesa di scientificità, asserendo che "se ogni essere vivente si trova continuamente in rapporto col e col e assolutamente deve mantenere questo rapporto, ciò vale anche per la SF (intendi: la superficie di fondo), che è essa stessa" – e qui Kandinsky si mostra più romantico di Byron – "un essere vivente. Questo può anche essere interpretato in parte come associazione, o come trasposizione sulla SF delle nostre proprie osservazioni. Ma bisogna assolutamente riconoscere che questa realtà ha radici più profonde – l'essere vivente. Per chi non sia artista questa affermazione può sembrare sconcertante. Ma bisogna riconoscere che ogni artista sente il della SF ancora inviolata – anche se inconsciamente – e che egli, ne sia più o meno cosciente, si sente responsabile di fronte a questo essere, e si rende conto che un oltraggio sconsiderato fatto ad esso avrebbe in sé qualcosa del delitto. L'artista questo essere e sa che la SF, docile e , accoglie gli elementi giusti, nell'ordine giusto. Questo organismo, primitivo sì, ma vivente, si trasforma, attraverso un giusto trattamento, in un nuovo organismo vivente, che non è più primitivo, ma rivela tutte le proprietà di un organismo sviluppato". Questo atteggiamento passionale nei confronti della superficie, paragonabile a quello di un giovane che si appresti a deflorare la fidanzata, è a mio giudizio più umano e comprensibile di quello di tanti altri scienziati della pittura. Il fatto è che Kandinsky fu, certamente e a differenza di un Mondrian, un grande artista, forse il più importante del suo tempo, e la sua valentia risulta evidente prima e dopo il suo approccio con l'arte astratta. Egli rimase sempre compenetrato dal sentimento della propria unicità; e se si riferisce all'artista come individuo, in grado di sentire, solo in mezzo al genere umano, una gamma di colori, di movimenti termici, di respiri, è perché in realtà credette fino ad un certo punto agli istituti di ricerca ed al lavoro collettivo. Io ammiro Kandinky per ciò che realizzò in quanto artista - e per aver implicitamente ammesso, in quanto teorico, di essersi sbagliato. L'assoluta mancanza di consequenzialità nella sua teorica è opera del dubbio, - un tarlo di cui un Mondrian o un Cézanne paiono non avere sofferto – e ciò lo rende più interessante ai miei occhi, al mio sentire. Kandinsky appartenne alla sua epoca nel senso che la visse con interezza, ma non se ne lasciò condizionare al punto di perdere completamente la propria libertà intellettuale – insomma: non ne fu dominato, come un Mondrian.

 

Sic et non: Indugiamo sul procedimento "logico" che nutre la religione dell'arte contemporanea non figurativa. Si narra, ad esempio, che nel mezzo del cammino di sua vita un tizio si convincesse che per tradurre la pura realtà (8) , con una qualche astuzia situata dietro apparenze mutevoli della natura (9) , fosse necessario esplicitare solo dei puri rapporti plastici, ossia composizioni geometriche di colori non mescolati, tendenti a realizzare un equilibrio del movimento dinamico di forma e di colore. (10) Questo tizio, Mondrian, «giunse a formulare la teoria secondo la quale tutto il sentire e l'immaginare soggettivo sarebbero da scartare, introducendo così nell'arte uno degli assiomi della scienza della natura. Si dovrebbe riprodurre la cosiddetta realtà pura, che dovrebbe consistere in relazioni immodificabili. Potrebbe avere pensato che queste si identificassero con le scienze naturali. Quando egli prosegue affermando che questo universale risulta dall'equilibrio di contrapposizioni, e che l'assoluta contrapposizione sarebbe quella fra orizzontale e verticale, si può riscontrare anche qui una mescolanza di evidenze delle scienze naturali con evidenze risultanti da autoconvincimento, che è caratteristica di molte di queste asserzioni, in quanto questi artisti non sono scienziati naturali, ma vanno semplicemente alla ricerca di un appoggio per una "nuova naturalità"». (11) La "pura realtà"! Ammetto di aver esitato un po', e adottato tutte le cautele che la cultura e il buon senso mi suggerivano; tuttavia non ho potuto evitare di pensare ad una personale interpretazione della "cosa in sé" di Kantiana memoria. Kant per primo aveva teorizzato il dualismo tra il mondo fenomenico e quello reale; egli aveva rivelato che il mondo è un fenomeno del cervello, ma aveva chiarito che al di sotto della realtà fenomenica si cela la realtà vera, la cosa in sé, assunta però come concretamente inafferrabile. Come è noto, disgraziatamente il grande filosofo tedesco omise di battezzare la cosa in sé, lasciando l'incombenza ai posteri. Questa circostanza deve essere percepita con profondo rammarico per due motivi: anzitutto, la definizione della cosa in sé avrebbe reso il cielo della filosofia assai più radioso, più terso per l'avvenire; inoltre, è certo che i più importanti successori di Kant apparissero piuttosto inadeguati per un'impresa di tal fatta. Per Fichte tutto è prodotto dell'Io, del cervello: dunque la cosa in sé non esiste. Per Shelling realtà e fenomeno, pensiero e essere coincidono. Confesso di non aver mai compreso cosa sia lo Spirito Assoluto di Hegel, ammesso e non concesso che qualcosa significhi, ma suppongo che per l'autore dovesse rappresentare, tra le varie cose, anche lo scioglimento da (solutus ab) ogni legame con il mondo delle idee: Hegel risolve (e dissolve) la distinzione tra mondo fenomenico e reale asserendo, con semplicità, che se il noumeno non è raggiungibile dal pensiero non è neppure affermabile. «Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale» (12) - dice, ed io credo che se il mondo ha perduto qualsiasi afflato poetico lo si debba anche a lui; tuttavia, pare a me che questa rude semplificazione sia irrealistica e si illustri da sola come un'astuzia da filosofo, il che ci consente una comoda via d'uscita dall'autore. A dissipare le nebbie dei ciarlatani venne un colto ragazzo di Francoforte, che interpretò il dualismo fenomeno-cosa in sé come dualismo di apparenza-realtà; il mondo, dice Schopenhauer, è una mia rappresentazione. E cioè: il mondo non è la realtà, ma è un'insieme di oggettivazioni, di contenuti rappresentativi, condizionato dalla coscienza e dalle sue forme a priori (spazio, tempo e causalità). Il mondo è un'illusione, e la realtà – la cosa in sé – è inaccessibile dall'esterno. Tuttavia, immergendosi nella sua interiorità, l'uomo si scopre parte di una unica volontà, una forza primordiale che si agita insoddisfatta nell'universo (13) . Ma che c'entra con Mondrian? C'entra. Mondrian svuota la cosa in sé di questa potente volontà e la colma di convincimenti pseudo-scientifici d'accatto. La pura realtà di Mondrian è la cosa in sé vista con gli occhi di un uomo ingenuo e incolto; la sua risposta alla domanda che l'omissione di Kant aveva sollevato è semplicistica e filosoficamente inaccettabile. Infatti, se la pura realtà non si manifesta, è perché non è fenomenica; e non si capisce perché dovrebbe manifestarsi nei dipinti di questo o quel pittore. La verità è che un omino piccolo-piccolo come Mondrian ritenne di aver fatto chissà quale scoperta introducendo concetti pseudo-scientifici nel mondo dell'arte; egli forse non si accorse che le evidenze risultanti da autoconvincimento superavano di gran lunga le evidenze "scientifiche". Una volta superato "l'effetto sorpresa", agli uomini della mia generazione non potrà sfuggire che il sentire e l'immaginare soggettivi siano stati scartati per introdurre il sentire e l'immaginare collettivi, tribali, imperanti nel gusto medio dell'uomo economico dei tempi di Mondrian, e che più che un ricorso al mondo delle scienze naturali si tratti di un grottesco ritorno a superati convincimenti che avevano fatto la gloria dei presocratici. Può sembrare strano, ma si potrebbe descrivere gran parte dei movimenti artistici dello scorso secolo ricorrendo alle categorie dell'essere e del divenire; au contraire, una dimensione artistica intesa come espressione di sentimenti individuali è stata consentita solo ad individui francamente psicopatici come Munch, Gauguin e Van Gogh (14) . In tutti i casi, io non dico che le evidenze "scientifiche" sottese ai capolavori di un Mondrian siano vere o false; ma alle affermazioni del Mondrian oppongo l'antica, ma ancora sostanziosa massima del sic et non. Invito perciò il lettore a considerare un'idea qualsiasi, come quella del nostro amico, e a farne un dogma, una realtà di fatto - la realtà pura come l'Immacolata concezione o la Trinità; lo esorto ad allontanare poi dal suo spirito individuale ogni senso critico, e vedrà che, come d'incanto, tutti i corollari di questo teorema saranno condivisi ed innalzati allo stesso livello del dogma - il religioso nell'arte. Ciò nondimeno insinuo: ma nessuno si è posto il problema della verità dell'assunto principale? A me, per esempio, non sfugge quanto di romantico si celi dietro il rifiuto di ogni romanticismo: il lirismo cercato con insistenza nella combinazione dei quadrati e di altre forme geometriche, è più delirante e vulcanico della voluta mancanza di equilibrio delle parole che vagano nei testi di uno Shelley (15) . Pronuncio una volta per tutte: non contestate l'idea – non ne vale la pena, morirà da sola - ma rigettate il teorema: non è affatto necessario accettarne le conseguenze, e non è certo che quest'ultime rappresentino un progresso nel mondo dell'arte. Dalla debolezza dello schema logico, infatti, emerge che neppure per un istante questo possa trovare accoglienza in philosophiciis.

 

Ancora l'epoca!: Prima di leggere gli scritti di Mondrian pensavo che egli fosse un mediocre. Ora non lo penso più: ora lo so. Egli fu un'incarnazione dell'epoca. Invero, quando afferma che «il concetto di rapporto equivalente è tipico della nostra prospettiva individuale di oggi. I sentimenti e concetti morali tradizionali sono già divenuti irrealistici a causa delle mutate condizioni di vita. Fondamentalmente, la vecchia moralità già li conteneva: amore fratellanza, amicizia ecc... il concetto di rapporto equivalente è l'idea di giustizia. Nell'ambito economico esso viene realizzato attraverso lo scambio equivalente (commercio puro)» (16) esprime il timore, proprio di un piccolo-borghese, verso tutto ciò che è differenza – tutto ciò che è distintivo, individuale – e insieme verso tutto ciò che è alto, che si impone a prescindere dall'epoca. Per un Mondrian, è necessario sfuggire all'oppressione del tragico, all'assenza di certezze, e tendere all'equilibrio esatto, verso il quale la vita economica e sociale presenterebbero già diversi sforzi; e qui emerge il pregiudizio scientista: «La nostra esistenza materiale non sarà sempre minacciata e tragica a causa dello squilibrio materiale-morale della vita sociale. E la nostra vita morale non sarà sempre impacciata dall'oppressione e dal dominio della vita materiale. La scienza ottiene sempre maggiori successi nel conservare e curare il nostro fisico. La tecnica vincerà sempre più la materia primitiva avvicinandola all'uomo. La vita umana, benché dipendente dal fisico, dalla materia, non resterà sempre dominata dalla natura» (17) . La natura è il nemico. Fondamentalmente è un'escrescenza, un velo deposto sopra la perfezione della "pura realtà", ad onta della cultura e della scienza. La natura sporca la realtà e fa indietreggiare l'umanità. Ma Mondrian insegna che, così come nell'arte si fa presto a liberarsene, anche nella vita reale è possibile prendere diversi accorgimenti per limitarne gli effetti, per sterilizzarla. La scienza è il metodo più sicuro, più efficiente; è bene, perciò, che le discipline più disparate si facciano un po' più scientifiche, più mature, più sicure di sé. Perciò l'arte delle epoche precedenti, per un Mondrian, non solamente è inefficiente, ma è soprattutto inadeguata.

 

Cézanne: È probabilmente Cézanne il piccolo Talete che inizia ad investigare nelle profondità della natura. Affermare che «tutto in natura ha la forma di sfera, cono e cilindro» (18) significa postulare una difformità tra la realtà fenomenica e quella noumenica; tuttavia la seconda è visibile agli occhi affidabili dell'artista, che puntano al nocciolo e alla verità delle cose. L'artista lavora per noi, e dopo aver disgregato l'immagine "uti apparet", la ricompone sulla tela "uti est". Egli per primo comincia a credere in una natura più profonda, almeno nella misura in cui crede che la realtà fenomenica sia in qualche modo ingannevole. È degno di nota che Cézanne, nella descrizione delle uniche forme presenti in Natura, si riferisca a figure tridimensionali e comuni nell'esperienza empirica. Certo, da qualche parte si doveva pur iniziare; una volta spiccato il balzo verso una rappresentazione razionale della Natura (che si vorrebbe ghermire e tradurre in immagini), affannarsi sulla scelta delle varie forme geometriche può apparire capzioso. Come Talete, Cézanne cerca l'unità degli essenti; con uno slancio ardimentoso verso l'ignoto egli non si limita ad affermare: vedete? La realtà è così! – ma sottolinea con forza: vedete? Tutta la realtà è così! Non sorprende, perciò, che in un dipinto di fine Ottocento, "Der Steibruch Bibémus", il mondo si mostri finalmente per ciò che è: un luogo piuttosto arido, pieno di asperità, dove gli alberi, rinsecchiti e insignificanti, paiono essere stati sparati direttamente nella roccia - che ha colori marziani e forma, con barriere invalicabili, un anfiteatro dell'orrore. Non sono presenti esponenti del genere umano: evidentemente in quanto non indispensabili. Così come è assente un'altra esponente dell'irrilevanza: la prospettiva, vaga illusione propria del tipo "uomo". Ciononostante, l'uomo è ancora implicito nei modelli della rappresentazione che l'artista si fa del mondo: coni e sfere sono modelli che esistono, nella concezione di chiunque, perché qualcuno li ha, per così dire, "scoperti" e portati alla luce della cultura, valicando oceani di indifferenza sulle cose e sulle forme. È probabile che il tipo "Cro-magnon" non si ponesse alcun problema attorno ai modelli presenti nel suo mondo; il poverino, d'altra parte, non poteva validamente intuire di essersi cacciato in un mondo composto da sfere, coni e cilindri. Ci si dimentica dell'uomo e ci si riferisce al contempo ai modelli della sua cultura. Può sembrare strano, ma non è colpa mia. D'altra parte Cézanne, salvando la tridimensionalità, ancora si richiama a secoli di pittura... (19).

 

Ancora Mondrian: Affermare che «tutto in natura ha la forma di sfera, di cono e di cilindro» significa riferirsi all'universo delle forme e delle sostanze finite, storicizzate. Mondrian, invece, scorse il tragico nella dimensione finita delle cose, e perciò si immaginò una realtà pura in evoluzione, una tendenza di linee rette e di colori prismatici. Mai, però, un artista si era trovato in una così profonda contraddizione: esprimere, o meglio: liberare l'incontenibile e il divenire e doverlo cristallizzare in un dipinto – un oggetto qualsiasi, finito. Alla fine, per quanti sforzi faccia l'osservatore, non riuscirà mai a convincersi dell'adeguatezza dei mezzi utilizzati dal pittore per conseguire un simile traguardo. 


L'arte astratta nacque dalla paura. Mi sono convinto, leggendo tra le righe certi scienziati dell'arte, che dietro l'entusiasmo per l'oggettività e per il progresso si celi un bambino; e che il bambino avverta una paura trepidante. «Tutti i particolari del passato sono oppressivi come le tenebre» (20) – afferma Mondrian; egli peraltro si rammarica che nel corso della guerra «molti residui del passato» (21) siano andati distrutti, ma pare non esserne troppo afflitto, in quanto «la vita e l'arte moderne stanno annullando l'oppressione del passato» (22) e così «fortunatamente possiamo anche godere delle costruzioni moderne, delle meraviglie della scienza, di ogni sorta di tecnica, oltre che dell'arte moderna» (23) . L'autore elenca un po' di novità in grado di allontanare l'influenza tirannica dei tempi andati: il vero jazz e la sua danza; le luci elettriche del lusso e dell'utilità nonché le esposizioni nelle vetrine. Gli ordigni al fosforo del bombardamento di Dresda paiono coinvolgerlo assai meno delle lucette di un negozio di giocattoli di Manhattan. All'autore piacciono il rombo delle automobili, lo sfavillio tutto esteriore di Broadway, il ritmo incalzante della vita contemporanea, la realtà meccanizzata, la musica non melodica, e, in genere, tutto ciò che non coinvolge emotivamente, - e che è un po' asettico, per così dire. D'altra parte, sottolinea in diversi punti, sia la vita che l'arte tendono ad un progresso continuo, che tuttavia, - e questo si desume con agilità dai suoi scritti -, conosce un solo ostacolo: l'individuo in quanto tale. Descrivendo il "vero contenuto dell'arte" (24) , infatti, l'autore riconosce i vari ingredienti di cui la vera arte si alimenta. Anzitutto "la bellezza della vitalità", che però nella vita reale risulta, disgraziatamente, offuscata dalla diversità umana; poi "l'espressione della verità", che tuttavia, sia nell'arte che nella vita, rischia di essere soffocata dall'interesse egoistico; infine "l'intuizione", che è libera purché non sia oppressa da fattori soggettivi. Bisogna ammettere che nell'universo psicologico dell'autore il tipo "uomo", in quanto individuo, non giochi un ruolo importante, anzi, risulti piuttosto importuno; Mondrian preferirebbe meccanizzarlo, sterilizzarlo, mettergli le pile, illuminarlo con un po' di lucette, farlo correre al ritmo del tapis-roulant, farne un organico membro di un gregge che pascoli verso il futuro, lì dove l'ambiente è più luminoso. Per un Mondrian, qualsiasi inclinazione personale è segno di malvagità e di malattia, ed è sintomo manifesto «dell'amore inconscio per i sentimenti tragici, squilibrati» (25) : incrina l'ordine naturale delle cose, fatto di relazioni equivalenti, di rapporti equivalenti di espressioni orizzontali e verticali, di angoli retti, di giuste direzioni, di rapporti puri. Se l'autore avesse trovato il coraggio di dire la verità su se stesso, ancor prima di esporre le sue fantasie, io l'avrei stimato di più; se avesse detto o scritto: io temo la natura, e ancor più quella umana - forse non avrebbe gravato così pesantemente sull'arte contemporanea - forse non sarebbe stato così malinteso e, se compreso, sarebbe stato rapidamente dimenticato. L'ambizione di Mondrian fu sempre quella di seppellire, una volta per tutte, la società del terrore, la confraternita del dolore e della morte, l'aspetto tragico, drammatico, delle vicende e delle relazioni umane; immaginò – ed è qui il lato più pittoresco della sua teoria – di eliminare l'ineliminabile - e cioè tutti gli squilibri che causano sofferenza - omettendo di registrarli sulla tela. Forse vagheggiò davvero, o forse no, che l'essere umano potesse essere adeguatamente corretto, così come l'arte era stata liberata dalla forma limitante , il volume era stato distrutto, il ritmo era stato liberato e «l'astrazione aveva portato la linea curva alla sua massima tensione: la linea retta» (26) . Ma l'uomo non è né retto né curvo, e la sua figura appare più fosca e tenebrosa non appena gli ci si avvicini; può sembrare orrendo, nei particolari della sua attività e della sua essenza, ma allontanarsi troppo, stilizzarlo, significa disconoscerlo, mistificarlo. E siccome ciò che è stato è stato, e non è più modificabile neppure con l'immaginazione, Mondrian si sentì oppresso dal passato più di quanto non patisse il giogo della natura. Insomma, Mondrian ebbe paura, e la sua paura fu fondante. «L'arte - sostiene il nostro, - è soltanto un di cui ci serviremo finché la bellezza della vita non sarà sufficiente. Essa scomparirà gradualmente via-via che la vita guadagnerà equilibrio. Oggi l'arte ha ancora una grandissima importanza perché dimostra plasticamente le leggi dell'equilibrio in modo diretto, liberato da concezioni individuali» (27). Ed è contro questa visione che si leva alto il mio appello; tutti coloro che non vogliono vivere nel mondo di bellezza e di equilibrio vagheggiato da Mondrian sono avvertiti: innalzando l'individuo, i sentimenti estetici e la visione soggettiva, possiamo ancora scongiurare una simile calamità.

 

Noche triste: La transizione dalla società del terrore alla società del timore, per il cui compimento la confraternita liberale andava attrezzandosi da tempo, non poteva non trovare nell'arte, cartina tornasole per eccellenza, un'immediata traduzione. Perché ciò avvenisse, perché un linguaggio fosse cancellato e ne fosse assunto convenzionalmente un altro, non bastava dire che la pittura e la natura sono cose diverse; bisognava invece dire che la natura che gli artisti avevano celebrato per secoli è pura apparenza, e cioè che non è "vera". Il tramonto della pittura, così come era stata concepita per secoli, poteva avvenire solamente negando che la sostanza fosse sostanza, che la terra fosse terra e che il sangue fosse sangue. Perciò il fondatore del nuovo linguaggio non fu Kandinsky, ma Mondrian.

 

I poeti dell'utopia scientista: Nota Galimberti che «nello spirito dell'utopia la triade religiosa, colpa, redenzione, salvezza, trova la sua riformulazione in quell'omologa prospettiva dove il passato appare come il male, la scienza come la redenzione, il progresso come salvezza». (28) In realtà questa asserzione è il miglior giudizio sintetico che abbia mai letto sull'opera intera di Mondrian e dei suoi innumerevoli seguaci. Un giorno varrà come epitaffio su estinti sentimenti artistici.

 

Corollario: Spesso gli artisti si condannano da soli. Per esempio, ancorarsi a convincimenti "pseudo-scientifici" significa legare il proprio destino alla persistenza di questi nel sentire comune.

 

I gatti e Paul Klee: Adoro i gatti, perché penso che appartengano all'universo silenzioso delle tenebre e dei mondi sospesi. Se ne vanno in libertà, oziando nei vicoli delle periferie e sui tetti, misurando gli spazi e i passi, ponderando con accuratezza le energie che i loro balzi ardimentosi richiedono; frequentano luoghi che generalmente ignoriamo. Vivono con noi ma non ci appartengono, e anzi sembrano ricordarci, di giorno in giorno, che nulla possediamo in realtà. Da millenni sono coerenti con il loro abito originario. I gatti sono una medicina, ma le illusioni che infondono nei cuori umani non sono che fantasmi: ci fanno intendere, di quando in quando, di esserci solidali, di riconoscere la nostra condizione superiore, mentre non ci hanno mai confidato, a memoria d'uomo, di essere i testimoni dell'eternità. Dopo aver denunciato i miei sentimenti per il vanitoso felino, mi accingo a dipingerlo o a disegnarlo; a tal fine, potrei, essendo un po' carente di mezzi propri, imitare, alla carlona, i vari disegni di Leonardo in tema di felini. Nondimeno, comprendo subito di pretendere troppo dai miei mezzi; meglio attingere, per sicurezza, a rappresentazioni più stilizzate, come il gatto ad altorilievo nella facciata esterna della cattedrale di Bitonto. Ma ecco che, nel mezzo della mia perfetta esecuzione, una voce importuna interrompe i lavori; è quel rompiscatole di Paul Klee, il più fanatico tra gli scientisti dell'arte, che mi suggerisce con aria sprezzante: «Devi volere non già la forma, bensì la funzione» (29) . Inutile rispondere che ognuno dipinge come gli pare: non serve ad attenuare la tensione che subito si accende tra di noi – non è bastevole ad eludere il conflitto naturale coltivato da mentalità così diverse. «Sei uno sprovveduto" - aggiunge - un formalista». (30) . Quello che detesto in lui è che si serve di un linguaggio abilmente studiato per significare molto più di quanto in realtà non voglia illustrare: in questo è degno successore di Hegel. Espressioni come "la forma vivente" e "la metalogica afferra il sorriso, l'occhiata, l'alito, tutti i tentennamenti tra bene e male" (31) destano, di primo acchito, una certa impressione; ma ogni sentimento di ammirazione si spegne quando, leggendo bene tra le righe, si scorge la banalità di una posizione tutto sommato "borghese", di forzoso equilibrio sulla nuda corda dell'opportunità. L'osservazione esterna non basta, afferma il nostro: è necessaria la contemplazione interiore. Solo così si penetra il mistero e si superano le nebbie del formalismo; solo così non ripetiamo le cose, ma le rendiamo visibili. (32) Ed è subito chiaro che la questione non è formale, ma ontologica: le cose non sono definite dal loro apparire, ma anzi «l'oggetto si dilata al di là del proprio fenomeno». (33) L'artista immaginato da Klee è in grado di esteriorizzare non solo il contenuto dell'oggetto, ma anche la sua funzione materiale; e questo perché il mondo fenomenico non cela il Wille né il «brutto poter che ascoso a comun danno impera», ma la realtà che tutti conosciamo: quella fisica. L'uomo di Klee procede come un anatomo-patologo, con fredda scienza, sezionando le cose e dissecandole: l'esperienza che ne trae, e il beneficio di importanti momenti didattici concernenti problematiche algebriche, meccaniche e geometriche, (34) gli consentono di fare delle serie ipotesi attorno al mondo che non appare. Intuisce la realtà. Per un Klee non ha alcuna importanza che io provi dei sentimenti di ammirazione per il felino che intendo dipingere, né che il felino mi si sia in qualche modo legato; a ben vedere, per lui non è neppure importante che si tratti di un gatto o di un cane o di una donna: infatti sono oggetti non comparabili qualitativamente con la purezza della sfera astratta e, osservati dal punto di vista della conoscenza delle energie e delle funzioni, assai simili. Così, la strada intrapresa da Kandinsky si risolve in un banale abbandono alla purezza della scienza; il pregiudizio scientista si afferma religiosamente come unica concezione possibile, e la forma, definitivamente dissolta, riappare come esito di un procedimento esatto. La società del timore cancella la dimensione soggettiva e sentimentale del mondo; l'aspetto tragico, drammatico delle vicende umane non deve riemergere.

 

Marco de' Francesco

I Seleniti

1988-2005

 

 

 

(1) "Non è sufficiente spiegare il valore di un'opera d'arte in sé; quel che soprattutto è necessario è far vedere il posto che occupa sulla scala dell'evoluzione dell'arte plastica. Così, parlando d'arte, non è lecito dire "la vedo così" o "questo è il mio pensiero". L'arte vera, come la vera vita, conosce un'unica strada." (Mondrian, Plastic Art and Pure Plastic Art, saggio presentato su Circe: An Internetional Survey of Constructive Art, 1937). Vedi anche la nota 207, per quanto concerne il pensiero di Kandinsky.

(2) Kandinsky, Montagna Blu, 1908/09, Guggenheim, New York.

(3) Wassily Kandinsky, Punto, linea, superficie; contributo all'analisi degli elementi pittorici, Adelphi, 1968, Milano. Titolo originale: Punkt und Linie zu Fläche e fu pubblicato presso l'editore Albert Langen di Monaco di Baviera. A pag. 11 si afferma: "Uno dei compiti più importanti della scienza dell'arte, ora ai suoi inizi, sarebbe da un lato un'analisi approfondita della storia dell'arte, in rapporto agli elementi, alla costruzione e alla composizione in diverse epoche e presso popoli diversi; dall'altro, la descrizione dello sviluppo di questi tre problemi, ognuno nel suo ambito – la direzione, il ritmo, la necessità dell'arricchimento, di quello sviluppo, probabilmente "a salti", che, nella storia dell'arte, segue forse una linea precisa, magari una linea ondulata. La prima parte di questo compito – l'analisi – confina coi compiti delle scienze "positive". La seconda parte – modalità dello sviluppo – confina coi compiti della filosofia. Qui si configura il punto nodale della normatività dello sviluppo umano in generale."

(4) Ibidem, qui gli esempi si sprecano. Pag. 22: "Il punto è il risultato del primo scontro tra lo strumento e la superficie di fondo"; pag. 28: "Il punto fa presa sulla superficie di fondo e vi si stabilisce per sempre"; pag. 57: "La linea geometrica è un'entità invisibile. E' la traccia del punto in movimento, dunque un suo prodotto"; pag. 131: "la superficie di fondo è delimitata da due linee orizzontali e due verticali, che la definiscono come entità autonoma nel suo ambito". Etc...

(5) Ibidem, pag. 81: "I metodi dell'analisi artistica sono stati finora sempre molto arbitrari e non di rado di natura troppo personale. Il prossimo futuro tenderà a muoversi su una via più precisa e più obiettiva, rendendo così possibile un lavoro collettivo nella scienza dell'arte".

(6) Ibidem, pag. 81: "Le tendenze e le doti dei singoli saranno qui, come sempre, diverse, e ciascuno potrà compiere il proprio lavoro solo in proporzione alle proprie forze, ma perciò appunto sarà di particolare importanza che vi sia una direzione del lavoro comune generalmente riconosciuta. Ogni tanto affiora l'idea di creare degli istituti artistici, la cui attività sia programmata – un'idea che certamente si realizzerà presto in diversi Paesi. Senza esagerazione possiamo affermare che una scienza dell'arte fondata su ampia base debba essere di carattere internazionale: una teoria dell'arte esclusivamente europea sarebbe interessante, ma non certo sufficiente (...)".

(7) Ibidem, pagg. 134-135: "Il suscita l'immagine di una maggiore scioltezza, un senso di leggerezza, di liberazione, e, in definitiva, di libertà (...) Il ha un effetto del tutto opposto: condensazione, pesantezza, vincolo".

(8) Mondrian, Toward a True Vision of Reality, saggio autobiografico del 1941: "Nonostante i ritardi e le interruzioni nello sviluppo culturale, esiste un progresso continuo nella scoperta della vera realtà per mezzo dell'astrazione dall'aspetto della realtà stessa. E' divenuto progressivamente più chiaro che l'espressione plastica della vera realtà viene conseguita attraverso un movimento dinamico in condizioni di equilibrio. L'arte plastica asserisce che l'equilibrio può essere stabilito solo attraverso la contrapposizione di opposizioni diverse ma equivalenti. La chiarificazione dell'equilibrio attraverso l'arte plastica è di grande importanza per l'umanità. Essa rivela che la vita umana nel tempo, pur essendo condannata allo squilibrio, si fonda ciò nonostante sull'equilibrio. Essa dimostra che l'equilibrio può diventare sempre più vivo in noi.

La realtà ci appare tragica solo a causa dello squilibrio e della confusione dei suoi aspetti. Sono la nostra visione soggettiva e la nostra visione determinata a causarci sofferenze. Benché manifestazioni e sentimenti tragici esistano soltanto nel tempo, per noi esseri umani il tempo è una realtà. La nostra visione e la nostra esperienza soggettiva ci rendono impossibile essere felici. Possiamo però sfuggire all'oppressione del tragico attraverso una chiara visione della realtà vera, la quale esiste ma è velata. Se noi non possiamo liberare noi stessi, possiamo però liberare la nostra visione".

(9) Ibidem: "E' mia convinzione che l'umanità, dopo secoli di cultura, possa accelerare il suo progresso attraverso l'acquisizione di una visione più vera della realtà. L'arte plastica dischiude ciò che la scienza ha già scoperto: che il tempo e la soggettività della visione velano la realtà vera".

(10) Da un'intervista rilasciata a James Johnson Sweeney il 24 maggio 1943: "Penso che l'esito logico della pittura consista nell'uso del colore puro e delle linee rette in opposizione ortogonale".

(11) Arnold Gehlen, Prospettive antropologiche, 1987, Il Mulino, Bologna, traduzione di Sergio Cremaschi, pp. 118,119. Edizione originale: Anthropologische Forschung. Zur Selbstbegegnung und Selbstentdeckung des Menscheng, Rowohlts deutsche Enzyklopädie, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt Taschenbuch Verlag GmbH, 1961.

(12) G. W. F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Recht (1821); traduzione italiana: "Lineamenti di filosofia del diritto", Laterza, Bari, 1959, pp. 18-19.

(13) Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Mursia, Milano, 1969, p. 139. "Si può dire anche in un certo senso: la volontà è la conoscenza a priori del corpo, il corpo la conoscenza a posteriori della volontà".

(14) Gehlen, cit., p. 121, riporta un brano del pittore Paul Klee (Tagebücher 1898-1918, Köln, Du Mont Shauberg, 1957, trad. it. Diari 1908-1918, Milano, Il Saggiatore, 1984, pp. 273-274): "Nell'arte si può anche ricominciare da capo, e ciò è evidente, più che altrove, in raccolte etnografiche oppure a casa propria, nella stanza riservata ai bambini. Non ridere, lettore! Anche i bambini conoscono l'arte e vi mettono molta saggezza. Quanto più sono maldestri tanto più ci offrono esempi istruttivi e anch'essi vanno preservati per tempo dalla corruzione. Fenomeni analoghi sono le creazioni dei malati di mente e non è affatto vituperio parlare in questi casi di puerilità o di pazzia. Se si vuole procedere a una riforma, tutto questo è da prendere molto sul serio, più sul serio che tutte le pinacoteche del mondo".

(15) Sono convinto che lo scientismo imperante ai tempi di Mondrian rispondesse alle esigenze della società della tecnica che gradualmente si era affermata in Occidente; così come il Romanticismo fu una reazione potente, umana, universale all'affermarsi di quella, lo scientismo ne consacrò la vittoria sullo spirito dell'uomo medio occidentale. Ciò nondimeno, importanti postumi dell'ideologia romantica erano – e forse sono – ancora diffusi...

(16) "Die rein abstrakte kunst", articolo apparso il 26 ottobre 1929 sulla rivista "Neue Zürcher Zeitung", traduzione di Libero Sosio.

(17) "L'art réaliste et l'art superréaliste", dattiloscritto apparso in "Cercle et Carré" nell'aprile 1930. Traduzione di Libero Sosio.

(18) Non c'è traccia, però, di questo principio nei suoi quadri. Forse si trattava solo di un'aspirazione ideale.

(19) Non mi si obietti che Cézanne non c'entra nulla con la pittura astratta; e che la sua influenza fu determinante per i pittori cubisti. Gli ismi non mi interessano. Cézanne ha lasciato cadere i semi; qualcuno ha coltivato la pianta, altri ancora hanno raccolto i frutti.

(20) Mondrian, Liberazione e oppressione nell'arte e nella vita, saggio pubblicato nel volume Plastic Art and Pure Plastic Art, Documents of Modern Art, Wittenborn and Shultz, New York, 1945.

(21) Ibidem.

(22) Ibidem.

(23) Ibidem.

(24) Ibidem.

(25) Mondrian, Pure Plastic Art, saggio datato marzo 1942 e pubblicato lo stesso anno a cura dell'Helena Rubinstein Salon.

(26) Ibidem.

(27) Ibidem.

(28) Umberto Galimberti, op. cit., pag. 149.

(29) Vedasi la prima stesura del saggio di Paul Klee "Exakte Versuche im Bereiche der Kunst" ("Esperienze esatte nel campo dell'arte"), rielaborato e pubblicato in seguito in: Bauhaus, Vierteljahrzeitschrift für Gestaltung A 2 n° 2/3. Dessau 1928.

(30) Ibidem.

(31) Ibidem.

(32) Paul Klee, "Schöpferische Konfession" ("Confessione creatrice"), pubblicata per la prima volta in "Tribune der Kunst und Zeit", una raccolta di scritti diretta da Kasimir Edshmid, Vol. XIII, con contributi di Beckmann, Benn, Däubler, Hoelzel, Marc, Schickele, Schönberg, Sternheim, Unruh e altri. Ed. Erich Reiss, Berlino, 1920.

(33) Paul Klee, "Wege des Naturstudiums" ("Vie allo studio della Natura") in: Staatliches Bauhaus Weimar, 1919-23. Herausgegeben vom Staatlichen Bauhaus, Weimar und Karl Nierendorf, Köln. Bauhausverlag, Weimar und München 1923.

(34) Vedasi il saggio di Paul Klee "Exakte Versuche im Bereiche der Kunst" ("Esperienze esatte nel campo dell'arte"), in: Bauhaus, Vierteljahrzeitschrift für Gestaltung A 2 n° 2/3. Dessau 1928.

 

 

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