La tesoreria unica si porta via anche i risarcimenti del Vajont

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vajontLongarone, la rabbia del sindaco e dei sopravvissuti. Nelle casse del Comune c'erano i soldi pagati nel 2000 da Enel, Montedison e Stato. 

LONGARONE (Belluno) — La tesoreria unica si porta a Roma anche i soldi del Vajont. Ciò che resta del risarcimento danni per il disastro del 9 ottobre 1963 finisce in Banca d'Italia: 4,5 milioni di euro, sui 77 miliardi (di lire) liquidati da Enel, Montedison e Stato italiano a seguito dell'accordo di ripartizione paritaria di 12 anni fa. Solo che dalle parti di Longarone non l'hanno presa affatto bene. Tanto che il Comune ha «diffidato» il governo. Per questioni etiche, certo, ma anche pratiche: si tratta di capitali investiti, e a chiudere anzitempo le operazioni finanziarie a termine ci si rimette un sacco di soldi.

«Tempo fa - spiega il sindaco di Longarone Roberto Padrin - il Comune ha bandito una gara tra istituti bancari. Abbiamo fatto la nostre scelte, a vantaggio dei cittadini: gli interessi dell'investimento, infatti, servono all'intera comunità. Ora il governo Monti ci chiede di disinvestire: il che significa perdere gli utili e soprattutto aprire il portafoglio per pagare penali, che sempre accompagnano contratti di questo genere. Una beffa».

Insomma, quei soldi si convertono da fruttiferi, da rendita che sostiene il bilancio corrente, in perdita che grava sulle casse della comunità. E il governo ha già fatto sapere di non pensarci neanche a modificare la norma del decreto liberalizzazioni che impone agli enti pubblici il trasferimento delle disponibilità liquide presso la tesoreria unica dello Stato, con prima scadenza il 29 febbraio per il 50% delle risorse e il 16 aprile per il restante 50%. «E' strano e inaccettabile - continua Padrin -: noi siamo un Comune virtuoso, che non spende ma investe, eppure siamo trattati così. E poi quelli sono i soldi del Vajont: moneta per risarcire i parenti di chi da queste parti ci ha rimesso la pelle.

Abbiamo o no il dovere di salvaguardare questi fondi?». Ma non finisce qui. «Diffidiamo il governo - termina il sindaco Padrin -: ieri la giunta mi ha autorizzato a presentare azione giudiziaria in tribunale perché l'obbligo del trasferimento alla tesoreria nazionale della nostra liquidità sia dichiarato "non sussistente"». Va giù ancora più dura Micaela Coletti, leader dell'associazione dei sopravvissuti. «Una porcata - afferma -. Per carità, non è la prima s u l Vajont. Ma qui ci privano di diritti acquisiti, nell'indifferenza totale di media e politica. Sono esterrefatta». Un'offesa alla memoria. «Forse Monti non sa - continua Coletti - quello che ci sta combinando; e sarebbe il caso che qualcuno gli ricordasse gli eventi di 50 anni fa. Il sindaco si faccia coraggio e organizzi una spedizione nella capitale. Chiami chi gli pare, magari qualcuno che di queste cose ci capisce, come il deputato Maurizio Paniz. Io di certo non mi tiro indietro, e prendo il treno anche domattina ». Per incontrare chi? «Monti, ma anche Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica, infatti, non può tacere di fronte a una cosa così enorme». Perché, secondo la Coletti, si tratta di farsi sentire: «Bisogna battere i pugni sul tavolo - chiosa la leader dei sopravvissuti -, perché questa non è più l'ora delle mezze parole. Abbiamo fatto tanto per ottenere un risarcimento. E ora, che cosa ci resta?».

Marco de' Francesco

Corriere del Veneto

9 marzo 2012

 

 

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