Riuscirà l'Italia a soddisfare la richiesta di skill tecnologici, che nel 2030 farà segnare un + 61% rispetto al giorno d'oggi? Sarà della partita, in fatto di formazione? Con ogni probabilità, no. Perché, come andava affermando due millenni fa il filosofo cinese Lao-Tzu, «la via del fare è l'essere». Ora, quanto all'Essere, il 4.0 ha reso centrali un insieme di competenze, hard e soft, come ad esempio i linguaggi di programmazione e la capacità di risolvere creativamente un problema. Senza questi skill, non si è abbastanza per le aziende, e quindi non si è chiamati a fare. Di qui, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. L'anello mancante tra posti vacanti e disoccupazione è dunque costituito dalle competenze: la partita della trasformazione digitale si gioca su di loro, ancor più che sulle tecnologie. Le seconde sono disponibili ovunque e a costi contenuti; per sviluppare le prime, invece, occorre tempo – fattore cruciale, in questo passaggio. E la verità è che in fatto di formazione di skill l'Italia non solo è in ritardo, ma arretra.
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20 luglio 2018
credits immagine: Marco de' Francesco
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