Massimo Khairallah, collaboratore ed esperto linguistico di lingua araba dell'Università Cà Foscari di Venezia e stretto collaboratore dell'Istituto Veneto per i Beni Culturali, a metà gennaio si trovava in Yemen per l'inaugurazione della moschea e scuola Al-Ashrafiyya di Taizz, nel sud del paese. Il restauro della moschea è durato 8 anni e ha coinvolto una trentina di operatori, tra restauratori e manodopera locale, formati da docenti e addetti al settore del restauro italiani. A questi si è aggiunta una squadra italiana permanente in loco, composta da un capo cantiere e quattro restauratori di pitture murali e legno.
Il giorno 22 gennaio all'inaugurazione erano presenti autorità yemenite, in particolare il governatore della regione di Taizz, Shawki Ahmed Hayel, con il quale l'Istituto Veneto per i Beni Culturali ha stipulato un memorandum d'intesa, per la promozione e la salvaguardia dei beni culturali. Era inoltre presente una rappresentanza dell'Istituto, con a capo il direttore arch. Renzo Ravagnan.
Qualche giorno prima dell'inaugurazione, a Sanaa, è scoppiato un conflitto a fuoco con cannoneggiamenti e colpi di mortaio contro il palazzo della presidenza della repubblica. Il conflitto era tra i ribelli Houthi del nord dello Yemen capeggiati da Abdel-Malek Al-Houthi, i quali hanno già da settembre occupato la capitale Sanaa con le proprie milizie con un colpo di stato strisciante e la guardia presidenziale, a difesa del complesso e dello stesso presidente, ormai confinato ai domiciliari insieme all'intero governo.
Massimo Khairallah, ci parli del lavoro effettuato in questi anni per la ristrutturazione della moschea Al-Asharafiyya.
Collaboro con l'IVBC da poco dopo l'apertura del cantiere, il secondo nello Yemen, dopo quello ancora più importante della Grande Moschea di Sanaa, la capitale. Il lavoro è stato eseguito in partnerariato con il Social Fund for Development, un'istituzione locale molto efficace rispetto agli standard del paese. Un lavoro difficile nelle scelte metodologiche vista l'antichità del monumento e lo stato di degrado, ma che grazie alla concertazione di esperti locali, internazionali e italiani ha visto un risultato estremamente soddisfacente, tanto che il committente yemenita intende far gareggiare questo restauro per il prestigioso premio mondiale dell'Aga Khan.
È stato un lavoro di collaborazione con maestranze locali? Quali le più grandi difficoltà?
Sì, certamente, uno degli aspetti fondamentali di questi progetti è stata la formazione di personale locale nel campo del restauro e non solo per la mera esecuzione del lavoro, ma lasciando in eredità un patrimonio di competenze per futuri lavori, cosa che ci ha fatto guadagnare la fiducia degli yemeniti e ci ha permesso di risolvere le problematiche con grande armonia. Forse le difficoltà più grandi ci sono state nell'adattamento ai "tempi e modi" locali, che a volte possono apparire molto lontani dalla mentalità di vita e lavoro occidentali.
Alla fine avete inaugurato in un clima non proprio favorevole. Può spiegarci cosa ha generato il conflitto nel quale vi siete trovati coinvolti?
Purtroppo il paese è da tempo in preda a forti turbolenze politiche e sta scivolando lentamente verso una situazione di vuoto istituzionale e politico molto preoccupante. Il problema nasce, come è successo in altri paesi arabi, dall'ondata di cosiddetta "primavera", che all'inizio sembrava poter portare grandi speranze, ma che forze restauratrici stanno dissipando progressivamente, spaccando il paese sotto diversi aspetti. A questo bisogna aggiungere che lo Yemen è oggetto di contese e rivalità regionali come quelle tra l'Arabia Saudita e l'Iran, che ne fanno una pedina pericolosa nel 'Grande Gioco' del Medioriente attuale.
Siete stati coinvolti negli scontri? Da dove avete assistito agli eventi?
Gli scontri si sono svolti nella parte sud della capitale, noi eravamo nella città vecchia e ci hanno consigliato di ritornare in albergo. Dalla terrazza dell'albergo abbiamo assistito in maniera un po' surreale a questi scambi di artiglieria. Colpi di mortaio venivano sparati dalle montagne e colpivano il palazzo presidenziale, eppure la gente nelle strade continuava la sua attività come se nulla fosse.
C'è stato pericolo per gli stranieri?
No, direi di no, gli scontri erano molto localizzati e tra parti ben note. Noi non abbiamo avvertito nessuna minaccia e infatti il giorno dopo siamo partiti per Taizz tranquillamente, dall'aeroporto.
Cosa ne è del nuovo Istituto Italo-Yemenita per la Conservazione dei Beni Culturali-Tarmim, ha subito danni nel conflitto?
Avevamo inaugurato la sede ufficialmente lo scorso settembre alla presenza del ministro della cultura e del coordinatore per lo Yemen del programma Onu per lo sviluppo (UNDP). Purtroppo gli sviluppi della guerra civile, dal mese scorso a oggi, ci costringono a rallentare molto i progetti che avevamo delineato con le autorita locali, ma siamo comunque fiduciosi di poterli portare avanti non appena si stabilizza la situazione. Tra l'altro il palazzo che ci avevano assegnato come sede dell'Istituto è in parte occupato dai ribelli, con i quali siamo costretti a convivere.
Com'era la situazione quando è partito dallo Yemen per ritornare in Italia?
Era tranquilla, siamo rientrati a Sanaa da Taizz senza problemi e in città era tutto normale: noi andavamo in giro come sempre e non abbiamo visto nessuna forma di violenza o altro.
Com'è la situazione attuale e quale futuro prevede per quel paese?
La situazione attuale appare molto confusa. I ribelli Houthi cercano di infiltrarsi in tutti gangli del potere, soppiantando le istituzioni repubblicane, però non godono del consenso di tutte le parti e questo apre la strada a tensioni e conflitti. È notizia di questi giorni che sia stata evacuata l'ambasciata americana, e altre ne stanno chiudendo, il che non lascia presagire nulla di positivo. In sostanza il futuro orizzonte del paese è molto nuvoloso.
Pensa di tornarci a breve?
Avevamo in programma di tornare già a febbraio, ma abbiamo rimandato a marzo, nell'attesa dell'evolversi degli eventi.
Quali sono i prossimi obiettivi dell'Istituto?
Cerchiamo di proseguire con i nostri progetti per aiutare questo paese. Attraverso i nostri programmi di formazione e con gli appelli ad altre istituzioni e governi per la salvaguardia di questo straordinario paese. Gli italiani godono di grande amicizia da parte degli yemeniti, sin dalla creazione di questo stato che l'Italia per prima riconobbe a livello internazionale. Cerchiamo inoltre di proseguire nell'intento che era già di Pasolini, quando nel 1971 lanciò il suo appello per salvare la citta vecchia di Sanaa. Noi con il nostro lavoro, dimostrato sul campo senza fini di lucro e votato alla vera cooperazione, godiamo di un ottimo credito. Siamo sempre stati ben accolti proprio per lo spirito con cui operiamo e cooperiamo e quindi diventa quasi un obbligo morale aiutarli in questo difficile momento.
Matteo Bugliaro Goggia
15 febbraio 2015
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