Mario Esquilino, autore ignoto al grande pubblico e l’incredibile successo di un libro fuori commercio

copertina 600x450I commessi delle librerie sono sull'orlo di una crisi di nervi. «Oramai ce lo richiedono sempre più spesso» ci confessa Davide, barbuto e allampanato commesso della libreria Mondadori di piazza Insurrezione a Padova «Acque Chete di Mario Esquilino è uno dei libri più richiesti del momento. Vengono alla spicciolata, quasi vergognandosi. Lettori che per non so quale imbarazzo adottano il sotterfugio. Abbiamo provato a interpellare la distribuzione e la casa editrice, ma senza successo. Oramai le prenotazioni superano quasi quelle di qualsiasi altro best seller. E tenendo conto delle sole richieste il libro che non c'è avrebbe forse eguagliato nella classifica delle vendite ogni altro primatista, questa settimana». Ci sono tutti gli ingredienti per un ottimo thriller. Il mistero di un libro introvabile e la scomparsa del suo autore. Trattasi di un capolavoro o di tanto rumore per nulla?

Galeotto è stato un commento di Pietro Melati su Venerdì di Repubblica del 18 aprile. Quella recensione, «Il castello di Dante e il libro che non c'è», ha destato un interesse malsano che si è propagato come una febbre, tramite il passaparola. Ha fatto da detonatore, per accendere l'incendio di una pandemia letteraria. Domenica 25 maggio, per rincarare la dose, un'altra recensione di Andrea Colombo sul Manifesto: «Un pastiche di racconto e immagini, alla scoperta delle grotte del XXI secolo» ha gettato altra benzina sul fuoco. Di solito sono gli autori presentati a «Che tempo che fa» da Fabio Fazio, che la settimana successiva raggiungono la vetta delle classifica delle vendite. Invece questa volta è stata una semplice recensione ad innescare una curiosità maggiormente stimolata dal non secondario dettaglio che vuole il libro fuori commercio. Sarà questo il segreto: la gente desidera quello che non può avere?

Il libro che non c'è s'intitola Acque chete, Mirror Editore, 2014, pp. 204. L'autore è Mario Esquilino, poeta romano, vissuto fino al 2012 nella capitale. Da allora è emigrato in Messico, stanco di attendere una gloria che ora gli arriva postuma, molto dopo la sua dipartita. Di lui parla Martín Solares, celebre scrittore messicano, che ha conosciuto e frequentato Esquilino in Sudamerica.

Ma nel volume sono compresi anche un testo di Tommaso Pincio e fotografie ad opera di Eugenio Tibaldi. Il caso quindi si complica. È allora un libro di Tommaso Pincio sotto, un altro ulteriore, pseudonimo? O un catalogo delle opere di Eugenio Tibaldi, ma chi è costui? È lo stesso Esquilino che ha creato Eugenio Tibaldi, per pubblicare i propri scritti e per esporre le proprie di opere? Come si diceva ci sono tutti gli elementi del romanzo giallo e bisogna quindi oltrepassare la soglia della copertina ed entrare nel testo così come ci si addentra in un labirinto, con circospezione, diventando esploratori e detective.

L'introduzione del libro è curata appunto da Tommaso Pincio, il quale ha già nel suo pseudonimo l'indicazione della cifra della propria poetica. Il suo nome non è altro che l'italianizzazione di Thomas Pynchon (Glen Cove, 1937), scrittore abbastanza schivo, di cui si conoscono solo poche foto risalenti al periodo scolastico e al suo servizio nella Marina Militare. Con queste premesse non è strano che Pincio si sia appassionato a Mario Esquilino, anch'esso autore inafferrabile e defilato, fino ad essere infine totalmente scomparso.

Pincio è per Esquilino, quello che Boswell è stato per Jonhson. Ma dove James Boswell era biografo puntiglioso, preciso e maniacale nell'annotare la vita di Samuel Jonhson ora per ora; Pincio è invece reticente, ambiguo e allusivo nel seguire le flebili tracce di un Mario Esquilino che rimane costantemente in bilico tra mito e irrealtà. Forse è quello che succede quando lo pseudonimo allusivo di un colle di Roma, cerca di seguire dall'alto le gesta di un quartiere della capitale. Ci racconta Pincio: «Nonostante gli sforzi, non mi è ancora riuscito di scoprire il suo indirizzo esatto. Di recente, all'angolo di via Ferruccio e via Machiavelli ho scoperto un graffito che forse costituisce un indizio; parole di Julio Cortázar che Esquilino potrebbe avere trascritto per marcare la propria dimora. Disgraziatamente, nessuno degli abitanti dell'isolato si ricorda di lui, nessuno lo ha mai sentito nominare. Possiamo affidarci soltanto a storie di seconda mano, tutte riferitemi da un messicano di nome Martín Solares, storie che lo vogliono solito passeggiare in piazza Vittorio». Le nebbie rimangono fitte. L'unico che potrebbe svelare l'arcano tace, disperso senza lasciare traccia in mezzo al deserto di Sonora, nel Distrito Federal o tra i tarahumara. Solo Mario Esquilino potrebbe infatti risolvere l'enigma che lui stesso rappresenta, ma la sua scomparsa aggiunge mistero al mistero del libro che non c'è.

L'introduzione di Tommaso Pincio è intitolata La piega suprema, come Esquilino soleva chiamare un momento supremo, un tratto caratteristico dell'esistenza: «Esquilino era difatti persuaso che nella vita di ogni persona si manifesti una piega, ovvero un fatto o una situazione o un tratto dell'animo nel quale si vede riflesso ogni altro fatto, ogni altra situazione, ogni altro tratto dell'animo di essa vita – continua Pincio – La sua missione di poeta consisteva pertanto nell'individuare, fissare e inventariare le pieghe dell'esistere e ciò al fine di redigere un catalogo o, come lui lo chiamava, forse strizzando l'occhio a Goffredo Parise, un sillabario».

Acque chete è infatti un sillabario, illustrato nell'occasione da Eugenio Tibaldi. Un sillabario in cui Esquilino si rivela poeta di superficie, un cantore di insignificanze che però tradiscono una profondità. Un poeta grottesco in fondo in fondo. Forse il principe supremo della maniera grottesca. Proprio per definizione, dall'aggettivo che significa "stranamente e bizzarramente deforme", riferito in origine alle pitture parietali dette grottesche. Parimenti, si è molto discusso sul come prenderle, queste grottesche: se come mere bizzarrie, invenzioni capricciose, o come contenitori di significati riposti o dissimulati. Così Esquilino crea i suoi epitaffi, per personaggi celebri o meno celebri: Daenti Oleegh Yeary, Boulain Yo, Gystav Corbay, Jondun, Laend Old Phee eccetera eccetera. Rinominando e sintetizzandone la biografia in un unico periodo, anzi in un'unica piega, per dirla alla sua maniera, li trasforma in qualcosa di diverso, nella definizione di un'esistenza possibile.

Così infine Eugenio Tibaldi, artista che spesso ha prestato la sua visione a sintetizzare un'estetica architettonica delle periferie, fatta di abbandoni, degradi e abusi edilizi, correda queste didascalie, queste biografie o thanatosgrafie condensate di Esquilino, con immagini coerenti di due luoghi industriali dismessi (la SGL Carbon, dall'inizio del Novecento, e la Mondadori, dagli anni Sessanta), che cessano definitivamente, dopo una serie di trasformazioni societarie, la loro attività nel primo decennio del Duemila. «Il mio tentativo di base era quello di restituire con l'arte, la letteratura, la poesia, il disegno, una dignità a questi luoghi che sono bloccati nell'immobilismo – dice Tibaldi - perché non è che sono destinati alla morte, magari lo fossero, in verità sono lì, sono con il respiratore tenuti in fin di vita». Come il poeta Esquilino quindi, sospeso tra biografia romanzata e mito postumo, come i suoi stessi personaggi, che tratteggia grottescamente per salvarli dalla morte irredimibile del definitivo oblio artistico; così Tibaldi accompagna ai testi di Esquilino le immagini di luoghi sospesi in un limbo, che rimangono eretti, ma privi di scopo, come fantasmi immobili tra le nebbie della dimenticanza.

Così insomma torniamo a Davide, il commesso della libreria Mondadori di Padova, che ha un bel daffare per spiegare alla clientela perché il libro tanto richiesto non è ancora disponibile. Ma ancora più impegnativo è spiegare chi è Mario Esquilino e cosa c'entrano in tutto questo il testo di Tommaso Pincio e le meravigliose fotografie di Eugenio Tibaldi. Speriamo insomma che la casa editrice e la distribuzione tolgano infine dall'impasse i librai italiani e si muova qualcosa in queste profonde, stagnanti Acque Chete.

Matteo Bugliaro Goggia

27 maggio 2014

 graffito di esquilinoquarta di copertina

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