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Rubbia: «Vi porto su Marte»

 


PADOVA - Un ascensore per le stelle. È il progetto P-242 e porta la firma di Carlo Rubbia, scienziato di fama mondiale. Il nome lo deve a una sostanza chimica, l'americio 242, e l'idea è quella di utilizzare l'energia nucleare per un vettore interplanetario in grado di ridurre drasticamente la durata dei viaggi spaziali. La finalità ultima è l'esplorazione umana di Marte.


Il nuovo motore non presenta alcuna parte in movimento. Si tratta di un lungo tubo ricoperto, internamente, da una sottile pellicola di materiale fissile, combustibile nucleare che, bombardato da neutroni, raggiunge altissime temperature (anche mezzo milione di gradi). Queste riscaldano il propellente, l'idrogeno, che assume lo stato di plasma e viene emesso alla velocità di 40 km/s dall'ugello. Basta una piccolissima quantità di combustibile: con soli due chili e mezzo di Americio 242 si può andare e tornare da Marte con una grossa astronave abitata.


Il propulsore mostra diversi vantaggi e molti progressi rispetto ad un razzo convenzionale. Per fare un paragone, per portare l'uomo su Marte oggi occorrerebbe una astronave del peso iniziale di 2.780 tonnellate, come una corazzata, per il 92% idrogeno e ossigeno liquidi, il propellente. Il viaggio d'andata durerebbe 8 mesi, e il costo complessivo supererebbe il prodotto interno lordo di alcuni paesi dell'Europa orientale. Con il nuovo vettore, invece, la nave peserebbe circa 250 tonnellate, come un jet, di cui solo il 20% in propellente. Ci vorrebbe un mese e mezzo per raggiungere il pianeta rosso e il costo sarebbe sensibilmente inferiore.


Il progetto ha anche una valenza ecologica. L'americio 242, infatti, appartiene alla categoria di scorie radioattive da eliminare. Portarlo nello spazio e accendere il motore è un modo eccellente per sbarazzarsene.


Perché questo nuovo propulsore?


«Considerate le distanze in gioco e viste le condizioni di rischio cui è esposto l'equipaggio di un'astronave, avere un motore nucleare, assai più potente dei propulsori chimici attualmente in uso, è un modo per superare i problemi più importanti, come la prolungata esposizione al vento solare, corrente di particelle emesse dalla nostra stella».


Quando dovrebbe essere acceso?


«Il propulsore sarebbe adatto solo a viaggi all'esterno dell'atmosfera, poiché produce una spinta modesta rispetto ai tradizionali propulsori chimici, ma prolungata nel tempo e con velocità di uscita dall'ugello molto maggiori».


Come tutelare l’equipaggio dalle radiazioni?


«L'equipaggio sarebbe protetto dalle radiazioni prodotte dalla fissione, comunque inferiori a quelle delle particelle del vento solare, da schermi di un composto di boro e carbonio 2 e la reazione di fissione si potrebbe interrompere, come in un qualunque reattore a fissione nucleare, tramite le barre di controllo (che assorbono i neutroni)».


Quando sarà realizzato?


«Chi lo sa? Il mio progetto ha superato la fase più difficile, quella relativa alla sua fattibilità. L'Asi (agenzia spaziale italiana) ha detto che è possibile realizzarlo. Ma, attualmente, il P-242 è sospeso, ufficialmente per mancanza di fondi. Per andare oltre la Luna il vettore nucleare è un passaggio obbligato. Ho scritto un bel lavoro e l'ho proposto alle autorità. Di più non potevo fare».


Ha altri progetti di rilievo?


«Un altro progetto importante riguarda la cosiddetta materia oscura. Oggi sappiamo che il 95% della materia esistente nel cosmo non è adronica, non è fatta cioè degli elementi che compongono noi e il resto della natura conosciuta, quelli della tavola di Mendeleev. Non è scaturita dalla sintesi nucleare del Big Bang ed è insieme oscura e trasparente. È come se su 100 persone, 95 fossero come l'uomo invisibile e solo 5 normali. La realtà dell'universo ci sfugge e se riuscissimo a svelare il suo vero volto sarebbe una scoperta straordinaria, non solo dal punto di vista scientifico ma soprattutto da quello culturale e filosofico. Una specie di rivoluzione, paragonabile a quella copernicana e a quella di Darwin. Una cosa che resterà per secoli».


E il progetto Archimede?


«Sei anni fa ero tornato in Italia per questo. Utilizzando una tecnologia innovativa ed esclusiva, un impianto di 360 specchi avrebbe concentrato la luce solare su tubazioni percorse da un fluido a base di sali che ha la proprietà di accumulare il calore. L'energia termica così raccolta avrebbe prodotto vapore ad alta pressione che, convogliato nelle turbine della centrale, sarebbe stato utilizzato per generare energia elettrica per circa 20 Mw di potenza nominale».


Era molto costoso?


«No, una cinquantina di milioni di euro. Inoltre, una volta prodotti su scala sufficientemente grande i sistemi di captazione e accumulo dell'energia solare, la produzione di calore ad alta temperatura sarebbe stata realizzata ad un costo di circa 2 euro per gigajoule, non superiore a quello previsto per il gas naturale e il petrolio. E avrebbe consentito di risparmiare 13 mila tonnellate di petrolio all'anno ed evitato l'emissione in atmosfera di 40 milioni di kg di anidride carbonica. Era stato approvato dal Governo e dall’Enea (Ente per le nuove tecnologie, l’energie e l’ambiente), che ne aveva già definito le fasi (la costruzione era prevista per quest'anno, mentre l’entrata in funzione per il 2010). Ma il piano non ha retto al succedersi degli Esecutivi e delle nomine politiche in seno alle commissioni scientifiche».


Che cos’è accaduto?


«Dal punto di vista dei principi la tecnologia oggi è largamente internazionalizzata. Il fatto che un ministro italiano decida di sopprimere un progetto per sostenere le sue truppe e i suoi amici non modifica la capacità di sviluppare le cose nel mondo».


È vero che lo sta realizzando in Spagna?


«Tante cose che si potevano fare in Italia si fanno altrove. È il caso di questa energia solare, rinnovabile, che risolve un problema vasto come l'umanità stessa. Purtroppo in Italia certi interessi di partito hanno avuto il sopravvento su quelli della collettività e sulla possibilità di realizzare qualcosa di originale. Questa tecnologia sta prendendo piede negli Usa, in Israele, in Spagna e in Germania. In Italia, invece, la montagna ha partorito il topolino».


Ma cosa distingueva la sua idea dal normale fotovoltaico?


«Il sistema ha due caratteristiche importanti. Anzitutto, permette di accumulare ingenti quantità di energia. Per esempio, una superficie di 200 km per 200 con questo metodo potrebbe produrre l'energia primaria del pianeta, cioè tutto il petrolio, tutto il gas naturale e tutto il carbone che consumiamo su scala mondiale. L'uno per mille delle zone desertiche, quelle sopra l'Equatore, potrebbe essere utilizzato per generare la stessa quantità di energia. Un millesimo della superficie dell'Arabia Saudita, messa a specchi solari, basterebbe a coprire, in termini energetici, la sua produzione in petrolio. E cos'è l'uno per mille? È niente! E allora, perché non vogliamo farla, questa cosa straordinaria? Non lo so, ma penso che il processo di cambiamento sia difficile e lungo, e che in Italia l'ignoranza crassa di certe istituzioni abbia imposto il silenzio stampa sulla questione».


Quindi adesso i tecnici si stanno formando in Spagna.


«Assolutamente sì, è un guaio. È ovvio che tutti un giorno sfrutteranno questa tecnologia in un modo o nell'altro: ci saranno quelli che avranno sviluppato il sistema e che offriranno posti di lavoro ai giovani tecnici, e quelli che dovranno pagare un prodotto. È spiacevole pensare che un progetto nato in Italia si realizzi altrove, ma non è colpa mia. Aver perso questa occasione è un grave errore».


Lei sostiene che i problemi italiani riguardano l'intera filiera della conoscenza scientifica, dalla divulgazione alla ricerca, dalle accademie alle istituzioni. E a proposito della divulgazione, com'è la situazione italiana?


«Proprio oggi - afferma - ha chiuso un'importante rivista scientifica. Il fatto è che il numero di persone che acquistano gli equivalenti nostrani di Nature o Science è irrisorio. Non è colpa degli scrittori, ma di chi non legge. Comunque sia, in Italia la divulgazione consiste molto spesso nel tradurre articoli dall'inglese e pubblicarli».


Che cosa manca?


«Manca una filiera di sostegno, non è bello vivere di luce riflessa. Bisogna incoraggiare i nostri autori a scrivere dei libri originali che siano fondamentalmente italiani. D'altra parte, l'intelligenza umana è una qualità universale. In linea di principio non c'è ragione per non fare una buona informazione, anche in Italia. Si deve fare in modo di assicurare agli scrittori una possibilità, e di fare in modo che si possa tradurre in realtà. Certo, il fattore commerciale è importante, ma pesa molto il fatto che la scienza non sia considerata cultura, come nei paesi anglosassoni».


Eppure l'informazione scientifica conta moltissimo nei paesi avanzati. Come, d'altra parte, la ricerca.


«Bisognerebbe anzitutto capire se l'Italia sia ancora un paese di punta. Siamo o no in grado di stare al passo coi tempi, di fare quello che si fa in America o in Danimarca? Ci troviamo di fronte a delle trasformazioni straordinarie nella ricerca e a fenomeni che riguardano anche i paesi emergenti, come l'India e la Cina. Personalmente, ho parecchio a che fare con la Spagna e devo ammettere che lì la ricerca è percepita come qualcosa di più importante di quanto non sia in Italia. Ma da noi la classe politica è cieca rispetto a queste cose. Spiace dirlo, ma questa è la situazione».


Che cosa consiglia ad un giovane dotato per le materie scientifiche?


«Di affermarsi all’estero. In certi paesi i nostri ricercatori sono molto apprezzati».


Dunque l'Italia è ferma anche rispetto alla propria tradizione e al compito storico del genere umano.


«C'è una scienza fondamentale che ci racconta da dove veniamo, che cosa ci fosse 13 miliardi di anni fa. Ci parla del Big Bang e del cosmo che ci circonda. Non ha applicazioni pratiche e non è utile, ma rappresenta una funzione fondamentale dell'uomo, quella di rispondere alla curiosità innata negli umani. L'uomo ha sempre avuto il desiderio di conoscere - non è una questione della nostra civiltà. Sempre gli uomini si sono posti delle domande fondamentali: "Come sono fatte le stelle? Come si può curare la gente?" Sono cose che non hanno un ritorno economico, ma che fanno parte dell'umanesimo nella sua forma più profonda. C'è poi una fisica applicata, che viene utilizzata per costruire, per realizzare le idee. Serve, ad esempio, per sviluppare i calcolatori e i personal computer. Voglio solo ricordare che il Cern (Consiglio europeo per la ricerca nucleare), che ho diretto per diversi anni, ha lanciato il web, e non credo che ci sia niente di più pratico e di più utile».


Tornerà a lavorare in Italia?


«No, io in Italia ci torno solo come turista».

 

Marco de' Francesco

(articolo pubblicato sul numero di febbraio dell'Inkre@dibile)

 

La mia intervista su You Tube  

 

Chi è Rubbia?

 

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