DI UN MEDICO DEL NUCLEO
PAZIENTI IN STATO VEGETATIVO
Prima
di esprimere il mio parere di medico, ritengo utile fare un breve excursus
su che cosa possiamo intendere per “ testamento biologico”.
La persona dichiara volontariamente e anticipatamente a quali trattamenti
sanitari vorrebbe o non vorrebbe essere sottoposta, nel caso non fosse
in grado di esprimere ai medici la propria autodeterminazione per una
grave malattia sopraggiunta.
Diversamente dal testamento propriamente detto, che produce effetti dopo
la morte di colui che lo ha redatto, il testamento biologico opera quando
il soggetto è vivo, ma non più consapevole, dando quindi
delle indicazioni anticipate di trattamento.
Le dichiarazioni anticipate dovrebbero essere l'autentica e circostanziata
volontà del paziente, periodicamente rivalutata, preceduta da adeguata
informazione e correttamente formulata, anche in termini medici, al fine
di evitare qualsiasi dubbio o problemi di interpretazione.
Il problema nasce tra il diverso modo di intendere l’alimentazione
e l’idratazione artificiali; per molte associazioni , soprattutto
di ispirazione cattolica, queste tecniche si devono intendere non come
terapie ma come mezzi di sostegno vitale e, in quanto tali, non suscettibili
di formare oggetto di dichiarazioni anticipate.
Esattamente il contrario di quello che esprimono i radicali e altri gruppi
laici.
Senza entrare nell'aspetto meramente tecnico, vorrei esprimere un altro
parere; prima di tutto questo dividersi in guelfi e ghibellini, sinceramente
mi preoccupa molto: l’uno vuole imporre all’altro la propria
visione.
Non voglio pormi al disopra delle parti e indicare quale sia la scelta
ideale; forse non esiste o meglio esiste, se i cattolici accettano la
libera determinazione e faranno del loro comportamento la prima fonte
di credibilità, anche per togliere “la terra di sotto”
alle “provocazioni” dei radicali... ma questo forse resta
un sogno.
Nel mezzo restano i pazienti, i loro familiari e tutto il personale sanitario,
ognuno con le proprie idea, insicurezze e sentimenti contrastanti.
Qui inizia il mio discorso di medico che si occupa di persone in stato
vegetativo; credo che l'indebolimento dell’occidente possa partire
dall’affievolirsi dei suoi valori; questo parte anche dal trionfo
dell’individualismo e del relativismo.
Adesso in questo individualismo si vorrebbe catapultare anche la malattia
che diventa assolutamente “intollerabile”.
Una volta il progetto di vita partiva da quello che si faceva, dal proprio
lavoro, dalla propria famiglia; ora i sogni sono molto più fragili
e precari e in tutto questo la malattia si inserisce come un cuneo di
separazione tra me e la mia vita.
Forse sta venendo meno la capacità di molti di sopravvivere non
tanto e solo come malati (comunque umanamente comprensibile), ma anche
da un futuro come anziani, magari con problemi motori e/o cognitivi; in
una società che ha fatto dell'estetica e del lifting un punto di
arrivo (e quindi di non ritorno), è “intollerabile”
essere anziano o peggio ancora disabile.
Nessuno è sicuramente felice di essere malato o disabile, ma siamo
in un’epoca del meno: meno stato, meno burocrazia, meno legami,
ecc e allora che cosa ci aspettiamo dalla vita… meno… e forse
per questo abbiamo meno sopportazione per la malattia (intesa in senso
generale).
Immaginate allora in questo contesto (assolutamente realista e per niente
disfattista) di prendere in mano un foglio e di iniziare a scrivere le
vostre volontà; delle volontà attuali al contesto in cui
si vive, magari rappresentando situazioni il più delle volte non
note e non oggetto di adeguata riflessione, inevitabilmente condizionate
dall’ipotetica mancanza di autosufficienza, dalla preoccupazione
di essere di peso ai propri familiari, dal sospetto dell’ “abbandono
terapeutico”, dal timore di non essere trattati, in quelle condizioni,
con il necessario rispetto dovuto alle “persone”.
Il rischio è che sia data via libera a una volontà, che
non rappresenta più esattamente quella del dichiarante, ma quella
delle “mode” che condizionano sempre più la vita degli
uomini.
Ecco perché da (modesto) cristiano mi interrogo sulla nostra scarsa
capacità di essere “moda” in questa società
che fa dei “disvalori” il principio fondante della vita.
Questo è un piano inclinato che porta alla deriva dell’eutanasia
e quindi all'annichilimento dell'individuo, ormai incapace di resistere
agli “urti” della vita, come tutte le gravi malattie, il cancro,
la disabilità.
Nessuno nega la sofferenza, il dolore, la paura della morte e quanto di
più tragico riusciamo ad immaginare dalla malattia, ma sta venendo
meno la capacità (o la potenzialità) di resistere, proprio
perché ormai siamo sempre più degli individui singoli.
Mi permetto di affermare un concetto politico, nel senso di polis, cioè
di acropoli o cittadella fortificata come la intendevano nella Grecia
antica: bisogna parlare non di popolo ma di cittadini, di lavoro, affetti,
sentimenti, come centro della vita sociale.
Se riprenderemo le redini della nostra società, potremo rinsaldare
le mura dell’acropoli che è la nostra vita.
Dove troviamo le tracce della ricostruzione-restaurazione dei valori fondanti
della vita della nostra società? Anche dove si vive o si sopravvive
nelle difficoltà e nella sofferenza, non come punto di arrivo di
un'esistenza, ma come uno dei tanti aspetti che la vita ci serba e ci
dà, metro di giudizio reale per le scelte e le testimonianze, che
permettono a noi tutti di essere società e per i credenti una comunità.
Dove lavoro, vedo famiglie, mogli e mariti, figli e nuore che non hanno
smesso di testimoniare con la loro presenza che loro ci sono e ci saranno
sempre fino alla fine!
Abbiate fiducia di molti medici e infermieri, come nell'Hospice di Padova
( che non a caso si trova nello stesso stabile dove soggiornano le persone
in stato vegetativo), che comunque daranno il massimo per “lenire”
le sofferenze e accompagnare le persone nel viaggio più difficile.
Ecco che, allora, il foglio, dove vorreste scrivere la vostra dichiarazione
testamentaria, potrà ospitare delle belle parole, magari una poesia
o forse un disegno, proprio come quello che mio padre mi ha lasciato come
testimonianza di una vita... e di forza per andare avanti.