Sopra, Beppino e Eluana Englaro

TESTAMENTO BIOLOGICO, LETTERA

DI UN MEDICO DEL NUCLEO PAZIENTI IN STATO VEGETATIVO

 

 

Prima di esprimere il mio parere di medico, ritengo utile fare un breve excursus su che cosa possiamo intendere per “ testamento biologico”.


La persona dichiara volontariamente e anticipatamente a quali trattamenti sanitari vorrebbe o non vorrebbe essere sottoposta, nel caso non fosse in grado di esprimere ai medici la propria autodeterminazione per una grave malattia sopraggiunta.


Diversamente dal testamento propriamente detto, che produce effetti dopo la morte di colui che lo ha redatto, il testamento biologico opera quando il soggetto è vivo, ma non più consapevole, dando quindi delle indicazioni anticipate di trattamento.


Le dichiarazioni anticipate dovrebbero essere l'autentica e circostanziata volontà del paziente, periodicamente rivalutata, preceduta da adeguata informazione e correttamente formulata, anche in termini medici, al fine di evitare qualsiasi dubbio o problemi di interpretazione.


Il problema nasce tra il diverso modo di intendere l’alimentazione e l’idratazione artificiali; per molte associazioni , soprattutto di ispirazione cattolica, queste tecniche si devono intendere non come terapie ma come mezzi di sostegno vitale e, in quanto tali, non suscettibili di formare oggetto di dichiarazioni anticipate.


Esattamente il contrario di quello che esprimono i radicali e altri gruppi laici.


Senza entrare nell'aspetto meramente tecnico, vorrei esprimere un altro parere; prima di tutto questo dividersi in guelfi e ghibellini, sinceramente mi preoccupa molto: l’uno vuole imporre all’altro la propria visione.


Non voglio pormi al disopra delle parti e indicare quale sia la scelta ideale; forse non esiste o meglio esiste, se i cattolici accettano la libera determinazione e faranno del loro comportamento la prima fonte di credibilità, anche per togliere “la terra di sotto” alle “provocazioni” dei radicali... ma questo forse resta un sogno.


Nel mezzo restano i pazienti, i loro familiari e tutto il personale sanitario, ognuno con le proprie idea, insicurezze e sentimenti contrastanti.


Qui inizia il mio discorso di medico che si occupa di persone in stato vegetativo; credo che l'indebolimento dell’occidente possa partire dall’affievolirsi dei suoi valori; questo parte anche dal trionfo dell’individualismo e del relativismo.


Adesso in questo individualismo si vorrebbe catapultare anche la malattia che diventa assolutamente “intollerabile”.


Una volta il progetto di vita partiva da quello che si faceva, dal proprio lavoro, dalla propria famiglia; ora i sogni sono molto più fragili e precari e in tutto questo la malattia si inserisce come un cuneo di separazione tra me e la mia vita.


Forse sta venendo meno la capacità di molti di sopravvivere non tanto e solo come malati (comunque umanamente comprensibile), ma anche da un futuro come anziani, magari con problemi motori e/o cognitivi; in una società che ha fatto dell'estetica e del lifting un punto di arrivo (e quindi di non ritorno), è “intollerabile” essere anziano o peggio ancora disabile.


Nessuno è sicuramente felice di essere malato o disabile, ma siamo in un’epoca del meno: meno stato, meno burocrazia, meno legami, ecc e allora che cosa ci aspettiamo dalla vita… meno… e forse per questo abbiamo meno sopportazione per la malattia (intesa in senso generale).


Immaginate allora in questo contesto (assolutamente realista e per niente disfattista) di prendere in mano un foglio e di iniziare a scrivere le vostre volontà; delle volontà attuali al contesto in cui si vive, magari rappresentando situazioni il più delle volte non note e non oggetto di adeguata riflessione, inevitabilmente condizionate dall’ipotetica mancanza di autosufficienza, dalla preoccupazione di essere di peso ai propri familiari, dal sospetto dell’ “abbandono terapeutico”, dal timore di non essere trattati, in quelle condizioni, con il necessario rispetto dovuto alle “persone”.


Il rischio è che sia data via libera a una volontà, che non rappresenta più esattamente quella del dichiarante, ma quella delle “mode” che condizionano sempre più la vita degli uomini.


Ecco perché da (modesto) cristiano mi interrogo sulla nostra scarsa capacità di essere “moda” in questa società che fa dei “disvalori” il principio fondante della vita.


Questo è un piano inclinato che porta alla deriva dell’eutanasia e quindi all'annichilimento dell'individuo, ormai incapace di resistere agli “urti” della vita, come tutte le gravi malattie, il cancro, la disabilità.


Nessuno nega la sofferenza, il dolore, la paura della morte e quanto di più tragico riusciamo ad immaginare dalla malattia, ma sta venendo meno la capacità (o la potenzialità) di resistere, proprio perché ormai siamo sempre più degli individui singoli.


Mi permetto di affermare un concetto politico, nel senso di polis, cioè di acropoli o cittadella fortificata come la intendevano nella Grecia antica: bisogna parlare non di popolo ma di cittadini, di lavoro, affetti, sentimenti, come centro della vita sociale.


Se riprenderemo le redini della nostra società, potremo rinsaldare le mura dell’acropoli che è la nostra vita.


Dove troviamo le tracce della ricostruzione-restaurazione dei valori fondanti della vita della nostra società? Anche dove si vive o si sopravvive nelle difficoltà e nella sofferenza, non come punto di arrivo di un'esistenza, ma come uno dei tanti aspetti che la vita ci serba e ci dà, metro di giudizio reale per le scelte e le testimonianze, che permettono a noi tutti di essere società e per i credenti una comunità.


Dove lavoro, vedo famiglie, mogli e mariti, figli e nuore che non hanno smesso di testimoniare con la loro presenza che loro ci sono e ci saranno sempre fino alla fine!


Abbiate fiducia di molti medici e infermieri, come nell'Hospice di Padova ( che non a caso si trova nello stesso stabile dove soggiornano le persone in stato vegetativo), che comunque daranno il massimo per “lenire” le sofferenze e accompagnare le persone nel viaggio più difficile.


Ecco che, allora, il foglio, dove vorreste scrivere la vostra dichiarazione testamentaria, potrà ospitare delle belle parole, magari una poesia o forse un disegno, proprio come quello che mio padre mi ha lasciato come testimonianza di una vita... e di forza per andare avanti.

 

 

Paolo Fusaro