ALIMENTARE (sopra, stabilimento Peroni di Padova)

ACCISE INDIGESTE PER LA BIRRA

I prodotti tedeschi e la vicinanza dei confini penalizzano i consumi

In Veneto tre grandi impianti industriali

 

«Nel Nord Est il settore ha sofferto di più». Perché, secondo il direttore di Assobirra Filippo Terzaghi, «la crisi ha picchiato duro in tutta Europa e in Italia ha comportato una contrazione del 10% del mercato; ma in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige la vicinanza al confine ha aggravato la situazione».

In gioco “potenze” del comparto come la Germania (produzione 2009 pari a 132,7 milioni di ettolitri, contro i 12,7 milioni italiani) che esportano nei paesi limitrofi e sottocosto le “eccedenze”; ma anche i costi di trasporto e il gravame delle accise «che si pagano nel Paese dove il prodotto è consumato, ma in proporzione al contenuto di zuccheri: e ci sono posti in Europa dove chiamano “birra” bevande povere di maltosio».

Accise aumentate del 13,6% nel gennaio 2004, del 24% nel marzo 2005 e del 19% nel gennaio 2006: l’81% in tre anni, considerata l’Iva; arrivando a pesare fino al 30% (circa il triplo rispetto a Spagna e Germania e più del doppio rispetto alla Francia) sul prezzo di vendita finale, con un'incidenza di circa 25-30 centesimi di euro per litro.

E il comparto è in allarme: a Cipro è stato deciso un aumento del 20% sulle accise e Regno Unito e Spagna potrebbero fare altrettanto; si teme che anche l’Italia possa imboccare la strada di nuovi gravami. «Sarebbe un disastro – continua Terzaghi – ma non pare l’intenzione del governo. Tuttavia la spada di Damocle dei disegni di legge c’è sempre; ogni tanto a qualcuno salta in mente di finanziare nobili imprese drenando il settore. Il prepensionamento di chi ha disabili in famiglia e il sostegno ad aziende di social responsability sono cause di rilievo generale; ma non si deve dimenticare che il comparto dà lavoro a 134mila persone e che già contribuisce alle entrate dello Stato per 4 miliardi di euro (1,6 miliardi da Iva, 446 milioni da accise, 62 milioni da tasse e contributi sociali e 1,8 miliardi da tasse pagate da altri settori coinvolti a vario titolo). Ulteriori aumenti? La fine, anzitutto, dei piccoli produttori, tanto diffusi nel Nord Est».

Sì, perché il panorama triveneto è particolare: la zona copre il 23% del mercato nazionale. Qui vengono consumati 31 litri all’anno di birra procapite (contro una media nazionale di 28); qui hanno sede 5 grandi impianti industriali (su 14 in Italia): Forst a Lagundo (Bz), Birra Castello a San Giorgio di Nogaro (Udine) e a Pedavena (Belluno), Birra Peroni a Padova e Theresianer a Nervesa della Battaglia (Treviso).

E qui hanno aperto 80 (su 300 in Italia) impianti artigianali, inseriti nella nicchia della birra non pastorizzata e spesso non filtrata.

E così le risposte per uscire dalla crisi variano a seconda delle dimensioni: mentre i micro birrifici puntano sulla creatività del birraio che «fa la differenza, utilizzando prodotti alternativi, spesso del territorio», la ricetta della Peroni (“gigante” da 4,8 milioni di ettolitri l’anno e 2mila dipendenti, 3 stabilimenti produttivi e sede a Roma) è la diversificazione. «Il nostro segreto – fanno sapere dallo stabilimento di Padova, 1,4 milioni di ettolitri, 50% export – è un ampio portafoglio di brand. Basti pensare che la “Peroni” è la birra più venduta in Italia, mentre “Nastro azzurro” è quella italiana più venduta nel mondo».

 

 

Marco de' Francesco

Il Sole 24 Ore NordEst, 27 ottobre 2010