PADOVA
— Vuvuzelas, laureandi in jeans e scarpe da
tennis, primi della classe che arrivano in ritardo
alla proclamazione perchè non sentono l’appello,
tifo da stadio, applausi a scena aperta, gag del «prof»
(«rischiavi di andare alla prossima sessione»),
barboncini infiocchettati, bimbi col gelato in mano
e parenti sistemati a turno su sedioline di plastica
da cinema all’aperto. E’ l’Università
ai tempi della scure Gelmini: tanto povera da essere
ridotta per strada. Lo ha scandito con forza la Facoltà
di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Ateneo
padovano, che venerdì pomeriggio ha organizzato
la proclamazione di 26 laureati in Informatica in
piazza dei Signori. Non sul palco allestito all’aperto,
causa pioggia, ma nell’ingresso della Gran Guardia,
che si affaccia sul salotto della città.
Un
ripiego che comunque ha reso l’idea dei tempi
bui profetizzati da mesi da docenti e ricercatori,
protagonisti delle proteste più originali.
Dallo sciopero della fame a sessioni d’esame
notturne, passando per cortei e proiezioni di video
illustrativi dei tagli sui muri delle aule. L’iniziativa
è stata altrettanto scenografica: parenti e
studenti accalcati nell’esiguo «foyer»,
sulla gradinata e ai cancelli hanno sostituito la
tradizionale platea elegante e composta che, durante
la discussione della tesi, si accomoda nello storico
palazzo del Bo. «Le misure del governo mettono
in gravissima difficoltà la qualità
della ricerca e della didattica — ha ammonito
i presenti il professor Gilberto Filè, presidente
della commissione di laurea —. Le leggi 126
e 133 del 2008 producono la diminuzione del 17% dei
fondi per il periodo 2009/2011, anno in cui non basteranno
neppure a pagare gli stipendi al personale. Il disegno
di legge Gelmini introduce il ricercatore a tempo
determinato, aumentando così il precariato
intellettuale oltre i 40 anni, mentre la finanziaria
penalizza in maniera gravissima i più giovani,
quelli che guadagnano 1200 euro al mese. Due provvedimenti
disastrosi per chi già lavora nell’Università,
e rischia di dover interrompere la ricerca per mancanza
di strumenti, e per i giovani di talento, che non
hanno prospettive di carriera. Per loro — ha
aggiunto Filè — il messaggio è:
il tuo talento non ci importa, vale poco e domani
varrà ancora meno. Dobbiamo fare di tutto per
capovolgere questa situazione».
Scenario
a tinte fosche che però non ha intimorito i
nuovi dottori — alcuni dei quali acclamati da
vere claque —, concentrati sui cinque «togati»
pronti a designarli tali. «Io non li conosco
nemmeno i motivi della protesta, non so nulla della
riforma Gelmini — ha ammesso candidamente Michele
Pagnin — dico solo che questa location è
molto scomoda. Avrei preferito un posto più
discreto». «In effetti — sussurrava
una nonna palesemente scomoda sulla sediolina di plastica
— uno studia per anni e poi deve vivere il momento
più bello in questo caos, in mezzo alla folla
e al freddo. Mio nipote non sono ancora riuscita ad
abbracciarlo, non parliamo poi di fotografarlo: impossibile».
Filosofico Elia Del Santo: «Ma no, questo scenario
è più suggestivo e poi approvo la protesta».
«E’ per una giusta causa, qui c’è
in ballo anche il nostro futuro — ha osservato
Silvia Gazzola — data la posta in gioco un posto
vale l’altro e poi grossi disguidi non ne ho
visti». D’accordo Davide Scarpa, con tanto
di corona d’alloro al collo: «E’
valsa la pena laurearsi così, condivido i motivi
della protesta». Davide però è
«figlio d’arte», il papà
Fabio lavora al’Istituto nazionale di fisica
nucleare di Legnaro e confida: «La situazione
è proprio quella descritta, da anni ci tagliano
i fondi e non c’è ricambio del personale.
Vogliono farci chiudere». La rivolta corre di
generazione in generazione.