Sulle note di “vola colomba” e “papaveri e papere” (ma solo i ritornelli, per raggiunti limiti d’età) si è tenuta qualche giorno fa in Fiera l’inaugurazione ufficiale della terza edizione del Padova Pride Village. Dopo il taglio del nastro infatti, sforbiciato dal presidente regionale Arcigay Alessandro Zan, è salita sul palco la “madrina” Nilla Pizzi, ugola d’oro dell’italietta borghese anni Cinquanta, regina di sentimenti “per bene” e di passioni da focolare.
Una foto senza contrasto, perché al Village la rivendicazione di diritti civili passa attraverso le strette maglie della normalizzazione. Poco o nulla è lasciato al carnasciale e ai colori infuocati del Gay Pride: esperimento sociologico di portata nazionale, macchina dell’integrazione con 52 appuntamenti e ospiti come le cantanti Giusy Ferreri e Paola Turci e l’astrofisica Margherita Hack, il Village procede limando differenze e spuntando asperità.
Nella prima serata è terra comune per gay decaffeinati e etero openminded. «Un’oasi felice – spiega Miss Linda, animatrice e “signora” del Village, dai modi raffinati – dove tutti si rispettano a prescindere dall’orientamento sessuale. Mi piace perché mi fermano le padovane “bene”, incuranti del tubino rosso luccicante e del décolleté. L’idea è quella di portare questo rispetto oltre i confini del Village». E in ciò le famiglie giocano un ruolo essenziale «perché – continua Miss Linda – si ha paura di ciò che non si conosce».
Ma la forza del Village è il suo limite: al passo forzato verso l’amalgama, rischia di perdere di vista l’identità. Ci sono tutti i colori della galassia omosessuale, dal “macho” alla “village people” al “bear” grosso e peloso, dall’effeminato a “quello che non diresti mai”; ma sono toni sfuocati, che si perdono tra belle ragazze del centro e coppie curiose.
Più Village che Pride. Per questo l’evento piace più a etero di larghe vedute che ai gay. «Qui si respira un’aria amichevole – concede Alessandra, 23 anni, etero, a un passo dalla laurea – che unisce tutti, anche famiglie con bambini. Non cambierei nulla».
Un evento simbolo di una rivoluzione culturale. «Si pensi al kiss crossing (iniziativa dell’Arcigay Italia, invito a scambiarsi tenerezze nei luoghi più frequentati) – continua Alessandra – ai tanti bar dedicati o agli ambienti universitari, sempre più aperti al mondo gay. Insomma, qualcosa sta cambiando».
Ma si pensa troppo al denaro; almeno secondo Ortensia, 25 anni, lesbica. «Per carità, mi piace – dichiara Ortensia –: fa figo, fa estate, ma si dà troppo peso all’aspetto economico e poco a quello identitario. Insomma, vorrei più Arci e meno Mazzuccato (gruppo food & service)».
Del resto, da queste parti si vuole evitare la “nave dei folli”, la psicosi da fortino assediato. «Devi comportarti con discrezione – spiega Marco, gay – e i fatti privati tali devono rimanere. Alla fine, è quello che la gente ti chiede». Perché, chiude Ettore, assistente di volo, gay, abbronzato, due spalle così «qui non ho bisogno di essere diverso da ciò che sono; può entrare chiunque, e sono felice che il Veneto sia all’avanguardia con il Village; ma restano mura invisibili, barriere che certo non abbiamo voluto noi».