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IL CASO

Corsi di dialetto,

contrari gli immigrati:

«Meglio farli d’italiano o inglese»

 


BELLUNO — «Così si fa solo confusione ». Parola di Verdija Elmazi, presidente dell’associazione «Antea reka radika » di Cesiomaggiore, che unisce gli immigrati macedoni nel Bellunese. È il commento al progetto di Palazzo Piloni per favorire l’integrazione: accanto ai corsi di lingua, storia e cultura italiana e di igiene e sicurezza sul posto di lavoro, l’attuale amministrazione ha aggiunto quelli di storia, cultura e dialetto bellunese. «Per ragioni pratiche - ha spiegato l’assessore alle Politiche del lavoro Stefano De Gan - si pensi alla badante rumena o all’operaio edile: hanno a che fare con persone che parlano per lo più in dialetto». Appunto. «E - spiega Elmazi - quei lavoratori capiscono bene il bellunese, mentre hanno poca confidenza con l’italiano. Se vieni da "fuori" o impari l’uno o l’altro e dei due è meglio l’italiano. E poi, o uno conosce già la lingua nazionale o farà un’enorme confusione». Scettica anche Edlira Ciftja, albanese laureata in Italia, presidente dell’associazione «Alba azioni di gioia». «Se proprio sono costretta - spiega la Ciftija - ci vado, altrimenti no. Il dialetto si impara sul campo,melo hanno insegnato i bellunesi, ma con loro basta l’italiano».

Per la Ciftija il dialetto non è la soluzione: «Ma non erano meglio dei corsi d’inglese?». Gli immigrati non ne fanno una questione «politica». «Legittime, le scelte della Provincia - spiega Abderrahin El Barqui, presidente dell’associazione "Amicizia italo-marocchina" di Feltre - però il dialetto non ci serve un granché. Al di là degli anziani e dei lavoratori di comparti limitati, gli altri parlano tutti in italiano».

Intanto infuria la polemica politica. Ieri il consigliere regionale ed ex presidente della Provincia Sergio Reolon (Pd) ha definito l’iniziativa «una bestialità leghista». Un coro di repliche indignate dal Carroccio. «Non conosce il mondodel lavoro - ha affermato il presidente della Provincia Gianpaolo Bottacin - Nei cantieri, non sono rari i casi di infortuni di immigrati che non comprendono consigli in dialetto». Protestano anche altri leghisti come Gianvittore Vaccari (sindaco di Feltre), Roberto Ciambetti (capogruppo in Regione) e Franco Manzato, assessore regioonale all’Identità («Secondo una ricerca di Fondazione Ispirazione di Treviso per l’85% degli immigrati la lingua veneta è utile all’integrazione lavorativa »).

E non si è capito chi debba organizzare i corsi e come saranno selezionati i docenti. «Della didattica - aveva spiegato De Gan - si occuperanno le associazioni degli industriali e degli artigiani ». Solo che questi non lo sanno. «Corsi di che? - si chiede il presidente di Confindustria Belluno, Valentino Vascellari - di dialetto? Ma veramente? Forse è uno scherzo». Ironico anche il presidente della locale Unione artigiani, Luigi Curto: «Questa è nuova. Però potrei contribuire con un mio dizionario di feltrino arcaico: interessante, davvero».

 

Marco de' Francesco

Il Corriere del Veneto, 3 Aprile 2010